Novità – Viticoltura biodinamica https://viticolturabiodinamica.it Testata giornalistica quotidiana Fri, 16 Dec 2022 13:17:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.3.2 https://viticolturabiodinamica.it/wp-content/uploads/2022/02/Logo-Viticoltura-150x150.png Novità – Viticoltura biodinamica https://viticolturabiodinamica.it 32 32 Medaglia d’oro a Bruxelles https://viticolturabiodinamica.it/medaglia-doro-a-bruxelles/ Fri, 03 Jun 2022 15:14:46 +0000 https://viticolturabiodinamica.it/?p=4918

Ancora un altro riconoscimento internazionale per “i vini biodinamici” di Leonello Anello. Medaglia d’oro 2022 al Concorso Mondiale di Bruxelles!
La biodinamica moderna, in pochi anni di applicazione, ha saputo valorizzare quel territorio e rendere un’eccellenza l’azienda Domeniul Bogdan,in Romania.
Primeggiare con un vino di Cabernet Sauvignon , vitigno internazionale coltivato in tutto il mondo, rende ancora più prestigiosa la vittoria.

]]>
Tra Danubio e Mar Nero https://viticolturabiodinamica.it/tra-danubio-e-mar-nero/ Tue, 26 Apr 2022 08:53:19 +0000 https://viticolturabiodinamica.it/?p=4850

Domeniul Bogdan. Il Primato Dei Vini Biodinamici In Romania

L’ antica regione della Dobrogia in Romania, situata tra il Danubio e il Mar Nero, ha una tradizione viticola millenaria, baciata da un clima favorevole, caratterizzato da inverni rigidi ed estati calde, con un’ottima escursione termica tra il giorno e la notte. I suoli di questo territorio sono naturalmente ricchi dal punto di vista microbiologico e le colture sono accarezzate dalla brezza permanente proveniente dal mare che le mantiene salubri. Qui, dal sogno di un imprenditore locale di produrre vini di altissima qualità seguendo i principi della biodinamica nasce nel 2011 la tenuta Domeniul Bogdan, una novità assoluta nel panorama vinicolo romeno. La proprietà si estende attualmente su 156 ettari di vigneto e col supporto dell’agronomo italiano Leonello Anello, pioniere e massimo esperto dell’agricoltura biodinamica, nasce la serie di vini Patrar (Quarto di luna). Le etichette degustate sono espressioni vinificate in purezza di Merlot, Syrah e Feteasca Neagra (Fanciulla Mora), un raro vitigno autoctono. La scelta della strada olistica richiede ogni giorno all’azienda maggiori interventi in vigna rispetto a una conduzione tradizionale e una profonda
conoscenza agronomica. Altrettanto in cantina, i vini biodinamici rivendicano la costante sensibilità sensoriale dell’uomo, buona padronanza della microbiologia del vino, fermentazioni spontanee e vengono utilizzate esclusivamente serbatoi in cemento e botti di rovere accuratamente selezionate nelle migliori tonnellerie francesi.

Patrar Syrah 2017

Lucenti sfumature rubino con lievi riflessi porpora introducono un bouquet intenso e raffinato. Inconfondibili note di mirtillo in confettura, muschio, felce e pietra focaia cedono il passo a tratti di erbe aromatiche, pepe nero, incenso e pino mugo, con arricchimenti di eucalipto e menta. L’impatto gustativo è avvolgente e dinamico, con tutte le componenti in ottima sinergia, in un bilanciamento progressivo di sensazioni saporite e fresche. Buona la persistenza su un finale di ciliegia matura.

Patrar Merlot 2017

Manto rubino vivido e compatto. Attacco olfattivo di menta piperita, viola macerata, ribes nero in confettura e caramella al lampone, intersecato da ricordi di arancia sanguinella, citronella, humus e rabarbaro, su uno sfondo di tabacco biondo con cenni di legno di cedro. Gustoso e incisivo alla beva. Rivela immediate sensazioni fresco-tanniche, che conducono il persistente percorso gusto-olfattivo, invogliando a un nuovo sorso. Finale accattivante di kumquat e cacao in polvere.

Patrar Feteasca Neagra 2017

Veste il calice di un rubino impenetrabile dalle nuance leggermente evolute. Ricordi di ceralacca e sottobosco abbracciano profumi di carcadè, ciliegia e prugna sotto spirito, stecco di liquirizia, erbe medicinali, genziana e china, prosegue con ricordi di legno di sandalo e tabacco scuro. In bocca è ricco e pieno. La nota pseudo-calorica accompagna lo sviluppo gustativo sorretta dalla spalla acida e dal tannino ancora in evoluzione. Persistente su un finale dai ritorni fruttati di arancia amara. 

]]>
Insostituibile nobile rame https://viticolturabiodinamica.it/insostituibile-nobile-rame/ Mon, 18 Nov 2019 11:26:00 +0000 https://viticolturabiodinamica.it/?p=234
Tra i parametri che prendiamo in considerazione per verificare i risultati del fare agricoltura biodinamica vi è da sempre il CONTENUTO DI RAME METALLO NEL SUOLO. Nelle nostre ricerche consideriamo il rame metallo totale non solo quello disponibile.
Dai dati analitici ventennali in nostro possesso è emerso che non si può considerare l’utilizzo di questo nobile metallo come un elemento di criticità dell’agricoltura biodinamica e biologica.
In rosso i "metalli nobili" (per la loro resistenza all’attacco dell’ossigeno)
Consideriamo, per esempio, che le analisi annuali dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), che rileva gli inquinanti presenti nelle acque superficiali e profonde del nostro paese, ha smesso da anni di ricercare il parametro “rame” perché NON E’ MAI STATO TROVATO COME INQUINANTE DELLE ACQUE SUPERFICIALI E PROFONDE, e questo pur essendo aumentate esponenzialmente le vendite dei prodotti a base di rame.
Il rame si muove poco, tutti sanno che non si può trovare nelle falde eppure si grida che inquinerebbe fiumi e mari, uccidendo più pesci della pesca a strascico o dei residui di pesticidi chimici che abbondano nei fondali fluviali e marini.
L’errore nasce da lontano. Ricordiamo come negli anni ‘80 riviste agricole divulgative, che riportavano settimanalmente i consigli degli esperti di viticoltura sui trattamenti da attuare, dovendo screditare la appena nascente biologico-mania affermavano perentori che occorrevano almeno 26 kg ad ettaro di rame metallo per campagna viticola per poter avere qualche risultato.
In quegli anni, noi pionieri del biologico, effettuavamo al massimo 1-2 trattamenti con 500 grammi di rame metallo, se necessario, e il resto dei circa 9 trattamenti con dosi tra 200 -300 g di rame metallo (prima del 2002 la dinamica della peronospora era molto diversa da come la conosciamo oggi) ed era impossibile comprendere, per noi addetti ai lavori, come si potesse raggiungere quel folle quantitativo.
Poi si cominciò a discutere di abbassarne i livelli, e, assurdo a dirsi, proprio i “politicanti del biologico”, evidentemente mai stati agricoltori o consulenti, si unirono al coro di quelli che sostenevano che il rame era dannoso, senza alcun dato oggettivo analitico in mano e, addirittura, in concomitanza con la riduzione della dose di utilizzo ammessa annualmente da 8 a 6 kg/ettaro, relazionarono al Ministero partendo da questa discutibilissima premessa: “I residui di rame nel terreno sono senza dubbio una causa di detrimento all’attività microbica del terreno stesso tale da metterne a rischio la necessaria vitalità che ne garantisce la fertilità” (il sottoscritto fu l’unico a dissociarsi nel gruppo di lavoro nazionale sulla viticoltura biologica nel 2008, chiedendo di produrre dati analitici, non pregiudizi).
Già allora avevamo una mole consistente di dati che confutavano la nocività e il fenomeno dell’accumulo del rame nel terreno, eppure la sostituzione del “nobile” rame, magari con il sistemico fosfito di potassio, veniva auspicata da molti in quella commissione.
Già allora avevamo una mole consistente di dati che confutavano la nocività e il fenomeno dell’accumulo del rame nel terreno, eppure la sostituzione del “nobile” rame, magari con il sistemico fosfito di potassio, veniva auspicata da molti in quella commissione.
Abbiamo negli anni condotto ricerche con la collaborazione di istituti riconosciuti per la loro esperienza e scientificità, come ad esempio lo IASMA di San Michele all’Adige (ricerche condotte dal 2007) o l’UNISI – Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente (2014), o con laboratori privati tra i quali l’autorevole ISVEA di Poggibonsi (ultime analisi nel 2019).
Ebbene, i nostri dati testimoniano una realtà analitica incontrovertibile: NON VI E’ ALCUN ACCUMULO DI RAME NEI TERRENI BIODINAMICI, ANCHE DOPO DECENNI DI UTILIZZO RAZIONALE.
Razionale è il minimo utilizzo necessario, anno per anno, per una viticoltura biodinamica sostenibile per l’ambiente e per l’economia del produttore, non lo è invece, per esempio, l’applicazione puramente numerologica di un cabalistico 3 Kg di rame metallo / ha / anno.
Tutti i dati delle nostre ricerche e le più avanzate tecniche di difesa fitosanitaria biodinamica saranno tra gli argomenti approfonditi nel corso di alta formazione del 5 – 6 febbraio 2020 a Montalcino.
]]>
Quale normativa per il vino biologico e biodinamico? https://viticolturabiodinamica.it/quale-normativa-per-il-vino-biologico-e-biodinamico/ Sat, 23 Apr 2011 14:20:44 +0000 https://viticolturabiodinamica.it/?p=657
Noi de “i vini biodinamici” poco meno di un anno fa credevamo di aver avuto gran fortuna, di averla scampata bella, che si fosse evitato di spacciare per legge il vino “chimico” quale vino biologico.
Non è affatto vero che la commissione europea ha ritirato (bocciato) la normativa sui vini biologici e non ha emanato il disciplinare che regolamenta il vino biologico. La commissione europea ha bocciato il disciplinare di un vino molto, ma molto, simile al vino convenzionale.
Non è vero che la problematica è sorta sulle quantità di solforosa ammesse nel vino: questo aspetto è furbescamente indicato quale fonte del disaccordo tra produttori del nord Europa e quelli italiani integralisti e bravi ragazzi.
Ma perché si rende così confusa una materia cosi semplice? Anche le chiacchiere sulla solforosa miravano, da parte dei piu’ attenti, a portare la solforosa a valori di 100 ppm per i rossi e 150 ppm per i bianchi . Compresi gli italiani, sotto questa vergognosa soglia non si vuol scendere. Al contempo non è mai stata analizzata una normativa che mirasse all’azzeramento dei solfiti.
Ma, al netto della solforosa, cosa ne facciamo di tutte le altre sostanze ammesse all’interno del futuribile vino biologico? D’altra parte il vino biodinamico, definito in alcuni disciplinari privati, segue il malvezzo di quello biologico e non si discosta molto da quest’ultimo.
A dire il vero sarebbe molto semplice attuare un disciplinare per il vino biodinamico e, per traslato, per quello biologico, riassumibile in questa riflessione: utilizzare tutto ciò che è indispensabile per trasformare l’uva in eccellente vino.
A questo punto ci viene incontro l’esperienza pluridecennale di produttori e tecnici che hanno saputo e sanno fare il vino bio e che, negli ultimi 20 anni, partendo dall’assunto “solo ciò che è indispensabile”, a furia di provare e studiare, sono arrivati alla sola necessità di “un pizzico di solforosa”, operando una sintesi sfociata in un prodotto che oggi compete (spesso primeggiando) con i migliori vini dell’enologo.
Se fosse stato approvato il disciplinare sul vino biologico, così come presentato in commissione europea questo avrebbe finito per screditare il lavoro e la pratica consolidata di questo manipolo di pionieri. Se questo disciplinare fosse stato approvato, avrebbe rappresentato una colossale presa in giro per il consumatore di vino biologico.
Allora cosa rimane di necessario per fare da ottima uva un ottimo vino? Oggi soltanto piccole dosi di solforosa (da dichiarare in etichetta).
Purtroppo questo non è avvenuto. Si è provato a far approvare un disciplinare biologico molto artefatto e ridondante, dove si potesse comprendere in ampie maglie tutti quelli che fanno il vino convenzionale, e noi ci chiediamo: PERCHE’?
Un mio caro amico mi ha sussurrato, ma mi dissocio da questo cattivo pensiero, che il mercato del controllo del biologico è un mercato che rende ricche le società che lo svolgono e che certamente non vogliono segarsi il ramo su cui vivono di rendita, mettendo paletti molto stretti. Lo stesso amico ha aggiunto che probabilmente anche le impegnative (nel senso di costose) ricerche , fatte spesso da chi non sa come si fa il vino biologico e biodinamico, ricerche finanziate dalla comunità europea e durate anni (altre,, dello stesso tenore, sono in corso di svolgimento) che dovevano indicare la scientificità del come si fa il vino biologico, hanno di fatto partorito più che verità incontrovertibili, approssimative supposizioni e diffuso allarmi inspiegabili sulla difficoltà, ad esempio, di avere una regolare fermentazione spontanea o hanno proposto inutili e superate alternative all’uso della solforosa, quali il lisozima (noto allergene).

Ma passiamo a veder cosa prevedeva l’ultima bozza di disciplinare discussa e respinta in commissione europea: vediamo l’Allegato VIII bis.

Visto quello che si può “impunemente” utilizzare? Appare chiaro che nessuno potrà trovare differenza alcuna con le pratiche enologiche dei vini NON BIOLOGICI oggi in commercio. E allora perché si è chiesto questo inutile disciplinare?
Appare molto specioso e pretestuoso pensare che con tutto quello che si può aggiungere e togliere in questo cosiddetto vino biologico, soltanto la solforosa sia il “killer”; quest’ultima non è certamente innocua, ma non può apparire come l’unica imputata su cui concentrare l’attenzione, distraendosi dal resto (non si dimentichi che spesso se ne assume di più mangiando, ad esempio, i gamberetti già puliti al supermercato, riccamente irrorati di metabisolfito).
D’altra parte è una tecnica molto fine, usata anche dagli strateghi del marketing, quella di concentrare l’attenzione sul particolare, forse poco rilevante ( la solforosa), rendendolo il fulcro del problema e distraendo dal resto delle sostanze, a dir poco, “colpevolmente” ammesse.

Sui media la carta dell’abbandono della solforosa sembra far notevolmente presa, ma a quali atmosfere modificate e prodotti più o meno leciti occorre far ricorso in sua sostituzione? Rinunciare alla solforosa, senza valide alternative, può far produrre un vino scadente, a tutto vantaggio dei detrattori di un modo di produrre di eccellenza.

Considerazione a sé meritano il vino e le produzioni biodinamiche, per i quali non esiste una normativa ma soltanto dei disciplinari privati. Se prendiamo in considerazione le stesure di alcuni di questi, ci accorgiamo che la musica non cambia. Forse anche qui viene il sospetto (il solito amico malpensante) che restringere le maglie equivarrebbe a impedire a molti “trafficoni” di entrare nel sistema, con danno economico evidente a chi di carte e controlli vive.
Anche nel caso di questi disciplinari privati, lieviti e batteri rimangono inoculabili; si può acidificare e disacidificare i mosti; si può correggere il grado alcolico; si chiarifica, si filtra, si usa carbone attivo, solfato di rame, scorze di lievito, bentonite , micro-ossigenazione e così via.
Per chi conosce la biodinamica, questa è l’ammissione che non si è ben compreso come agiscono gli elementi naturali, e che, invece della metamorfosi dell’uva in vino, ci affidiamo alla gallina biodinamica ed al suo ovetto chiarificante.
Ma alla fine ci viene da gridare: al mondo ci sono già tanti vini, anche di successo, che utilizzano molte sostanze ammesse per legge e che si affidano all’indispensabile (secondo loro) utilizzo della chimica di sintesi, della fisica, della meccanica spinta e della microbiologia per produrli. Ma, qualora si arrivasse a fare una legge per il vino biologico o un disciplinare privato per il vino biodinamico, VOLETE NORMARE UN MODO DI FARE ALMENO DIVERSO DA QUELLO CONVENZIONALE?
]]>