Editoriale – Viticoltura biodinamica https://viticolturabiodinamica.it/en Testata giornalistica quotidiana Thu, 16 Feb 2023 08:34:04 +0000 en-GB hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.3.2 https://viticolturabiodinamica.it/wp-content/uploads/2022/02/Logo-Viticoltura-150x150.png Editoriale – Viticoltura biodinamica https://viticolturabiodinamica.it/en 32 32 Verdeggiate più grassi, pàmpini, nella pergola. Goethe, Steiner e noi https://viticolturabiodinamica.it/en/verdeggiate-piu-grassi-pampini-nella-pergola-goethe-steiner-e-noi/ Fri, 07 Jul 2017 12:08:53 +0000 https://viticolturabiodinamica.it/?p=390

Intervento in occasione del 6° Convegno di Vitivinicoltura biodinamica moderna: “Paradigmi scientifici a confronto”
Villa medicea di Cerreto Guidi

Quando si pensa a Johann Wolfgang Goethe e il vino, vengono in mente due aforismi, uno tanto noto da trovarsi stampato, oltre che sulle etichette, anche sui gadget e sulle cartoline:

La vita è troppo breve per bere vini mediocri

Un aforisma ambiguo, suona come un inno al piacere scritto dal copy di un’agenzia pubblicitaria, ma nasconde la tragedia del suo unico figlio, August, morto a soli 41 anni di cirrosi epatica. L’altro aforisma di Goethe sul vino è meno noto, ma altrettanto evocativo:
Naturalmente, si può sostituire donna con uomo, ma non si può sostituire il bicchiere di vino che ha ispirato e nutrito corpo e anima di uno dei più grandi uomini di cultura di tutti i tempi. George Eliot diceva di lui che era stato l’ultimo uomo universale.
Come titolo di questa riflessione, non ho scelto uno degli aforismi, ma i primi versi di una poesia che, nella sua completezza, recita:

Verdeggiate più grassi,

pampini, nella pergola fin qua

verso la mia finestra!

Sbocciate più fitti, acini

gemelli, e maturate

più in fretta e splendendo più colmi!

Vi cova lo sguardo materno

dell’ultimo sole, vi spira dintorno

leggera la gloria feconda

del cielo amico;

vi rinfresca il sereno

magico soffio di luna,

e vi bagnano, ahi!,

da questi occhi

le lacrime turgide piene

dell’amore che senza fine vivifica.

(Goethe, Autunno 1775)

Non mi cimento nell’esegesi del testo, lascio ad ognuno il piacere di trovare rimandi ai temi di fondo della biodinamica.
Perché ho scelto una poesia? Perché Goethe insegna che quello che ci circonda – e noi stessi che lo percepiamo e lo viviamo – possiamo essere rappresentati in molte forme, dai numeri e dalle descrizioni della ragione e dell’intelletto, ma anche dal canto delle parole. E la scienza non fa eccezione.
Il titolo del convegno Paradigmi scientifici a confronto è mutuato dalla teoria epistemologica di Khun. In estrema sintesi, il filosofo americano sostiene che la ricerca scientifica procede per salti. Le leggi che interpretano la realtà sono tutte coerenti all’interno di un sistema dato, ma non è detto che esso sia l’unico. Nell’epoca in cui un paradigma si afferma, gli scienziati che si muovono all’interno del suo perimetro si guardano bene dal mettere in dubbio i fondamenti della loro pratica e il contesto che le fa da sfondo.
Nel suo testo La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Khun spiega come si passi da un sistema all’altro attraverso fratture, con conseguenti cambi di paradigma. Quando un fenomeno non si riesce a spiegare è indispensabile un radicale cambiamento dell’orizzonte in cui è collocato: perché il sapere proceda è indispensabile passare a un nuovo paradigma.
Per Goethe:
Qual è il paradigma di Goethe? Ci interessa rispondere a questa domanda perché, come sappiamo, è da Goethe che parte Steiner, dagli studi sulle sue opere scientifiche e filosofiche, oltre che letterarie.

Possiamo dire, semplificando, che se Steiner è il padre della biodinamica, Goethe ne è il nonno. Il paradigma all’interno del quale si colloca Rudolf Steiner è quello disegnato da Goethe.

Ricordiamo che nel 1882, su proposta di Karl Julius Schröer, suo docente, dal professor Joseph Kürschner, curatore di una nuova edizione delle opere di Goethe, Steiner fu incaricato di occuparsi delle opere scientifiche. Nel 1886 pubblicò un primo libro sulla filosofia di Goethe: Linee fondamentali di una teoria della conoscenza della concezione del mondo di Goethe.
Nel 1888 Steiner fu invitato a lavorare come curatore negli archivi Goethe a Weimar, dove rimase fino al 1896, scrivendo introduzioni e commenti ai quattro volumi di scritti scientifici di Goethe e pubblicando, nel 1897, un secondo libro sulla filosofia di Goethe: La concezione del mondo di Goethe.
Nel 1899, la vita di Steiner cominciò a cambiare, come racconta nella sua autobiografia, proprio grazie alla pubblicazione sulla rivista Magazin dell’articolo “La Rivelazione Segreta di Goethe” che trattava della natura esoterica di una favola di Goethe, Il Serpente verde e La Splendida Ninfea. Grazie a questo articolo Steiner fu invitato a parlare a un convegno di teosofi e per la prima volta parlò in pubblico della sua percezione spirituale.
Nelle immagini fiabesche di questo racconto si presentò
davanti allo sguardo spirituale di Goethe l’evoluzione dell’anima
dalla condizione in cui ancora si sente estranea al soprasensibile,
fino al grado di coscienza in cui la vita vissuta nel mondo
sensibile si compenetra del mondo spirituale soprasensibile, in
modo che i due diventano uno solo.
(Steiner, La Rivelazione Segreta di Goethe)
Proviamo, allora, a disegnare per tratti i contorni del paradigma di Goethe. Goethe, nella sua concezione del mondo, oltre ad avere come punto di riferimento Spinoza, negli studi sulla Natura, fu fortemente influenzato dagli scambi che ebbe con il teologo Herder che sosteneva:
L’essere umano riunisce in sé tutti i principi formativi che gli altri organismi (cosiddetti “organismi inferiori”) hanno sviluppato unilateralmente; la Natura condensa in un solo essere quanto ha sparso in molte classi e ordini. Tutto questo comporta che ogni parte degli “organismi inferiori”, ad esempio degli animali, deve rinvenirsi nell’uomo, pur ridotta o come residuo ancestrale. La Natura non può avere lacune nella formazione coerente di un tipo.
Goethe dà un contributo scientifico importante a questo approccio scoprendo l’osso intermascellare anche nell’uomo, dà una soluzione (nel 1784, contemporaneamente a un medico francese, Vicq d’Azir) a un problema che si trascina dai tempi di Aristotele, poi ripreso da Galeno (entrambi favorevoli), ma contraddetto per secoli da quanti, come Vesalio, sostenevano che l’uomo era una creatura eccezionale, isolata nella Natura e non l`ultimo grado dell’affermazione del continuo delle forme animali.
La Natura, anche per Goethe, come per gli Scolastici e Linneo, non fa salti, egli applica un approccio morfologico alle scienze naturali. Il tema dell’indagine scientifica diventa: qual è la fonte della vitalità e della capacità di metamorfosi della Natura?
Goethe può essere considerato il precursore del darwinismo, avendo egli concepito l’organico come governato dalle stesse leggi che intervengono nella natura inorganica. Le forme viventi, secondo Goethe, sono il risultato della metamorfosi di un archetipo. Goethe, rispetto a Darwin, non arrivò a formulare il concetto determinante di selezione, sul quale Darwin avrebbe fondato la teoria dell’evoluzione.
Una seconda intuizione è quella che molte ossa del cranio sono vertebre trasformate e, anche in questo caso, per Goethe si tratta della conferma che esiste una legge unitaria con la quale la Natura plasma le forme organiche. (Le osservazioni nacquero dal cranio di un montone trovato sulla spiaggia del Lido di Venezia). Tutto questo porta alla concezione di un tipo animale originario.
Naturalmente questo approccio morfologico, soprattutto grazie al viaggio in Italia, lo porta allo studio delle piante e al loro sviluppo. Goethe giunge alla conclusione che le forme dei vegetali non sono fissate in modo definitivo al modello originale, ma sono dotate di una sorprendente variabilità che consente loro di adattarsi e di trasformarsi. Tutte le parti delle piante non sono che variabili delle foglie, e ciò vale non per una sola specie, ma per tutte le forme del regno vegetale, sino a riconoscere in quelle modificazioni un unico tipo primitivo. Così come era stato per gli animali.
Insomma i processi della Natura hanno un unico comune denominatore e un’unica legge, un unico principio guida. Per la vita vegetale questo corrisponde a un modello, a una specie ideale, ai caratteri di una pianta originaria, forma essenziale di tutte queste manifestazioni. Sul piano dell’osservazione concreta non si può far altro che constatare il concreto realizzarsi della “pianta originaria” nelle piante che si osservano nella natura. (Secondo Goethe questa era rintracciabile tra quelle Mediterranee).
Ogni pianta, quindi, va considerata come un momento della metamorfosi di quella forma essenziale che la Natura, come legge in movimento, impone al vivente, e che non può essere irrigidita nella schematizzazione dei generi e delle specie.
Il viaggio in Italia porta Goethe a studiare i fenomeni cromatici. Il nostro paese per lui era la sintesi di natura e arte, passato e presente, spiritualità e sensualità. Oltre alla purezza dei cieli e alle tinte del paesaggio è decisiva la visita alla Cappella Sistina.
Il quesito di base è: che cosa sono i colori? Goethe risponde interrogando gli amici pittori, conducendo esperimenti di laboratorio e producendo una “teoria dei colori” alla quale dà più importanza che a tutte le sue opere letterarie.
Il punto di partenza è che la percezione sensoriale pura e semplice non è in grado di cogliere la ricchezza e la complessità della Natura. La centralità del soggetto percipiente, dichiarata da Goethe, rimanda al tempo stesso a questioni epistemologiche e etiche. Il colore, inteso come atmosfera ed esperienza corporea, ma anche nel suo spetto sensibile e morale, ci introduce a una visione antropologica dell’esperienza e dell’esistenza.
La teoria dei colori, nonostante l’orgoglio di Goethe, lasciò i contemporanei indifferenti; questo ferì particolarmente l’autore, che avrebbe voluto un confronto, ma ciò non accadde perché il suo lavoro apparteneva a un paradigma “altro”, ovvero non rientrava nel sistema newtoniano. Si trattava di un nuovo paradigma. Ecco cosa scrive Martin Bansfeld al riguardo:
Secondo Goethe i colori non sono parti, ma azioni e passioni della luce. Weizsacker ritiene che questa affermazione sia in piena consonanza con la fisica quantistica. Il rapporto tra parte e intero nella fisica quantistica si potrebbe proprio esprimere sostenendo che le parti isolabili sono sempre azioni e passioni dell’intero. Insieme con l’atomismo classico si deve buttare a mare anche il modello classico di causalità: nella fisica quantistica, sul singolo oggetto, sono possibili soltanto previsioni probabilistiche. Goethe rimproverò a Newton di non aver voluto riconoscere la luce nella sua purezza; all’opposto si rimproverò a Goethe di non aver compreso il significato del principio di causalità per il pensiero naturalistico. Nel frattempo, grazie alla fisica dei quanti, sembra essere divenuto plausibile il concetto goethiano della luce e venuta meno l’assolutezza del modello di causalità: eccoci di nuovo pronti per la concezione scientifica di Goethe.
Bansfeld, Il colore è la natura conforme al senso dell’occhio
E noi aggiungiamo: siamo quindi pronti per le teorie steineriane. Un altro paradigma si affaccia all’orizzonte. Ma tutto questo non è solo interessante per le sue conclusioni. La teoria dei colori, che tanto inorgogliva Goethe, contiene una questione di fondo che va al di là del problema della luce; o, meglio, giocando con uno slittamento semantico, il saggio tratta anche della luce in senso metaforico, come conoscenza, e si inserisce con forza nel dibattito fondamentale tra oggettività e soggettività del conoscere. E’ questo il vero oggetto di scontro con Newton.
Naturalmente ciò viene da Kant e racconta perfettamente il passaggio dalla cultura illuministica a quella romantica. Soggettività della scienza non vuol dire che ognuno ha la propria scienza, ma che l’uomo è incluso e integrato nella ricerca, ne è responsabile, lega il progresso della scienza all’etica.
Steiner afferma che le opere di Goethe avevano creato in lui la convinzione profonda che al lavoro di Galilei sulla materia inorganica corrispondesse quello di Goethe, con riferimento al mondo organico. Con la sua teoria della metamorfosi aveva pensato i processi organici della natura in termini spirituali. Il metodo scientifico di Goethe si nutre delle controversie della scienza, che insegnano l’arte di non fermarsi a conoscenze troppo sicure; le opposte polarità producono il movimento della ricerca che, altrimenti si interromperebbe. E al centro di questo flusso c’è sempre l’uomo con la sua etica.
Ritornando alla domanda iniziale: qual è il paradigma di Goethe?, si può provare a sintetizzare così, con le sue stesse parole:
Se, con felice equilibrio di energia e abilità, ci riuscirà di radere al suolo quella Bastiglia (il riferimento è alle teorie di Newton, ma vale per tutte le teorie legate alla matematizzazione delle scienze naturali) e guadagnare uno spazio libero, rimarrà lontana da noi l’intenzione di ingombrarlo subito, costruendo un nuovo edificio. Di esso (spazio libero), piuttosto, intendiamo servirci allo scopo di offrire una bella successione di molteplici forme.
Goethe, La teoria dei colori
Per Goethe la conoscenza, in tutti gli ambiti, si dà all’interno del rapporto tra soggettività e oggettività e la loro reciproca e radicale compromissione. La scienza deve divenire al tempo stesso mistica e metodica, deve vivere della tensione dei due poli dell’unità vivente: le regole e l’intuizione.
Ma la conoscenza non esiste se non c’è un essere vivente che oltre a percepire, senta quello che va oltre sé stesso e quello che gli sta intorno. Accanto alla vis centrifuga del continuo mutare delle forme esistenti, esiste un contrappeso: l’istinto di specificazione, la tenace capacità di persistere di ciò che, nel divenire, è divenuto realtà. Potremmo dire l’impronta originaria, il segno primo del mutamento.
Ora, per questioni di tempo e di spazio a disposizione, sono costretto a chiudere e, con un doppio salto mortale, riannodo uno dei fili sottesi a questa riflessione: il problema dei disciplinari.
Quello che ho provato a ripercorrere e che, genericamente, ho chiamato il paradigma di Goethe, da cui discende l’origine della biodinamica, può spiegare, almeno in parte, perché è così difficile fissare in un disciplinare il metodo della biodinamica.
Ma, forse, dovremmo provare a immaginare un nuovo modo di scrivere un disciplinare, magari pensandolo come un testo vivo, in movimento, che si arricchisce quotidianamente delle pratiche, oltre che delle speculazioni teoriche. Per concludere, un’ultima massima di Goethe:
Il che ci porta a collocare la ricerca e la condivisione dei risultati, tenendo conto di una considerazione finale: una concezione solo meccanicistica della conoscenza e della vita produce inevitabilmente una separazione tra etica e ricerca scientifico-tecnologica, rischiando, come si vede nella nostra quotidianità, che il progresso sia perfettamente funzionale all’economia.
Un’economia che, nel nuovo millennio, con la globalizzazione, la digitalizzazione e la virtualizzazione delle ricchezze ha spezzato il legame che l’economia aveva sempre avuto con la produzione di beni in rapporto alla vita degli esseri umani e al loro benessere. Il mondo oggi è dominato da un’economia finanziaria che ha perso di vista l’uomo come soggetto e culmine della metamorfosi delle forme. La tendenza è che la finanza, con i suoi meccanismi oggettivi (contano solo i numeri, le statistiche), sia riuscita definitivamente a separare le vite reali dalle loro rappresentazioni astratte.

Bibliografia

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La normativa sul vino biologico: cosa ne pensiamo https://viticolturabiodinamica.it/en/la-normativa-sul-vino-biologico-cosa-ne-pensiamo/ Tue, 21 Feb 2012 14:51:54 +0000 https://viticolturabiodinamica.it/?p=613
Se si considera la normativa sulle Produzioni Biologiche (REGOLAMENTO (CE) N. 834/2007 del 28 giugno 2007), per il consumatore risulta chiaro, se non altro, che si tratta di un metodo di produzione che non utilizza prodotti chimici di sintesi.
Nel caso del vino biologico, il consumatore risulta ingannato, poiché la nuova normativa riguardo a questo metodo di produzione, approvata in questi giorni i sede comunitaria è pressoché identica a quella dei vini convenzionali, consentendo di utilizzare gli stessi additivi.
Sostanzialmente la normativa sulla vinificazione biologica si è adeguata alla tecnica di vinificazione già applicata nella produzione dei vini convenzionali oggi in commercio.
Con questa nuova normativa sarà un problema in futuro, per quelli che il vino lo fanno SOLTANTO CON L’UVA distinguersi, entro la stessa certificazione, da quelli che il vino lo fanno ANCHE CON L’UVA.
L’uva coltivata in modo biodinamico, raggiunge degli standard qualitativi e di sanità insuperabili. In cantina si porta dell’uva che può essere vinificata utilizzando soltanto modeste quantità di metabisolfito di potassio.
L’intero armamentario delle sostanze e procedure presenti negli allegati alla normativa del vino biologico è ingiustificabile.
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Altro che vino del terroir: con il nucleare non esisterà più l’agricoltura https://viticolturabiodinamica.it/en/altro-che-vino-del-terroir-con-il-nucleare-non-esistera-piu-lagricoltura/ Sun, 05 Jun 2011 14:02:06 +0000 https://viticolturabiodinamica.it/?p=623

Non possiamo pensare di “accarezzare” le nostre vigne e migliorare la terra che lavoriamo per lasciarla più fertile e viva alle generazioni future senza prendere posizione netta e decisa sull’insidia NUCLEARE, capace di vanificare IN UN ATTIMO ogni nostro intento.

Vi sono uomini sapienti (o ominidi ignoranti?) che mettono a repentaglio l’esistenza stessa di questo puntino di nulla disperso nell’universo: la Terra. Non hanno la minima idea di cosa significhi aver prodotto la più devastante e micidiale forza della sub-natura (così chiamò l’energia nucleare Rudolf Steiner, mettendo a conoscenza dei rischi), vi giocherellano come stregoni idioti, palleggiando una potenza energetica che non conoscono e non sanno gestire, mettendo in grave pericolo il futuro dell’intera umanità. NOI CHE AMIAMO LA TERRA DOBBIAMO OPPORCI.

Una fuga di isotopi radioattivi non è controllabile e uccide uomini e terre. Provate poi a raccontare che il nostro prezioso vino viene da quelle terre.
Ogni altra fonte d’energia (della quale pur abbiamo bisogno) può provocare localmente danni o ricadute negative MA NON PUO’ DISTRUGGERE IN MODO IMPREVEDIBILE E IMPROVVISO, LASCIANDOCI SENZA ALCUNA DIFESA COME SOLO IL NUCLEARE PUO’ FARE.
Ogni rassicurante ciarlataneria relativa alla sicurezza dei reattori nucleari è stata smentita da una serie d’incidenti verificatisi in pochi anni. Gli esempi più eclatanti, tra i pochi resi noti, sono accaduti ovunque: Three Mile Island, USA (1979); Chernobyl, Russia (1986), Fukushima, Giappone (2011), dimostrando che non conta la bravura e l’affidabilità di un popolo, la sua evoluzione tecnologica, la sapienza antica e moderna. Il nucleare è insicuro e oggi non sappiamo come difenderci dalla sua devastante potenza né della sua deriva e dai suoi scarti. Ci è incomprensibile persino come funziona un reattore; questo non si spegne come si fa con un bosco in fiamme versandoci sopra dell’acqua, quello che “arde” è un processo,non è un fuoco fisico, è una forza negativa devastante che imita quella naturale ma non è quella naturale, della quale non sappiamo aver ragione né intrappolarla durevolmente né smaltirla consapevolmente. Basterebbe questo all’uomo sapiente per non mettersi a giocare con una forza indomabile. Un incidente nucleare devastante non consente all’uomo moderno di difendersi e sopravvivere: questa è la realtà del nucleare.
DA UNA FUGA RADIOATTIVA NON SI PUO’ FUGGIRE, NON ESISTE IL FARMACO NE’ IL VACCINO, NON ESISTE POSTO AL MONDO NEL QUALE RIFUGIARSI.
Non dobbiamo occuparci delle nostre vigne e rimanere indifferenti, le decisioni di altri possono annullare il nostro lavoro, la nostra e la vita delle generazioni future. ABBIAMO L’OBBLIGO DI DIFENDERE LA TERRA SU CUI VIVIAMO SULLA QUALE VOGLIAMO PRODURRE IN MODO PULITO ED UNICO, PRESERVANDOLA E MIGLIORANDOLA PER LE GENERAZIONI FUTURE.
OGNI VITICOLTORE, ANCHE SE NON BIODINAMICO, ha l’obbligo di pensare al futuro e non soltanto al danaro nel presente. Ogni agricoltore biodinamico ha l’obbligo di pensare ad un modello di sviluppo futuro che non sia ad elevata entropia.
ANDANDO A VOTARE e VOTANDO SÍ NEL REFERENDUM SUL NUCLEARE DEL 12-13 GIUGNO SI SPEGNE UN’IGNOBILE INSIDIA E SI ACCENDE LA SPERANZA NEL FUTURO.
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Quale normativa per il vino biologico e biodinamico? https://viticolturabiodinamica.it/en/quale-normativa-per-il-vino-biologico-e-biodinamico/ Sat, 23 Apr 2011 14:20:44 +0000 https://viticolturabiodinamica.it/?p=657
Noi de “i vini biodinamici” poco meno di un anno fa credevamo di aver avuto gran fortuna, di averla scampata bella, che si fosse evitato di spacciare per legge il vino “chimico” quale vino biologico.
Non è affatto vero che la commissione europea ha ritirato (bocciato) la normativa sui vini biologici e non ha emanato il disciplinare che regolamenta il vino biologico. La commissione europea ha bocciato il disciplinare di un vino molto, ma molto, simile al vino convenzionale.
Non è vero che la problematica è sorta sulle quantità di solforosa ammesse nel vino: questo aspetto è furbescamente indicato quale fonte del disaccordo tra produttori del nord Europa e quelli italiani integralisti e bravi ragazzi.
Ma perché si rende così confusa una materia cosi semplice? Anche le chiacchiere sulla solforosa miravano, da parte dei piu’ attenti, a portare la solforosa a valori di 100 ppm per i rossi e 150 ppm per i bianchi . Compresi gli italiani, sotto questa vergognosa soglia non si vuol scendere. Al contempo non è mai stata analizzata una normativa che mirasse all’azzeramento dei solfiti.
Ma, al netto della solforosa, cosa ne facciamo di tutte le altre sostanze ammesse all’interno del futuribile vino biologico? D’altra parte il vino biodinamico, definito in alcuni disciplinari privati, segue il malvezzo di quello biologico e non si discosta molto da quest’ultimo.
A dire il vero sarebbe molto semplice attuare un disciplinare per il vino biodinamico e, per traslato, per quello biologico, riassumibile in questa riflessione: utilizzare tutto ciò che è indispensabile per trasformare l’uva in eccellente vino.
A questo punto ci viene incontro l’esperienza pluridecennale di produttori e tecnici che hanno saputo e sanno fare il vino bio e che, negli ultimi 20 anni, partendo dall’assunto “solo ciò che è indispensabile”, a furia di provare e studiare, sono arrivati alla sola necessità di “un pizzico di solforosa”, operando una sintesi sfociata in un prodotto che oggi compete (spesso primeggiando) con i migliori vini dell’enologo.
Se fosse stato approvato il disciplinare sul vino biologico, così come presentato in commissione europea questo avrebbe finito per screditare il lavoro e la pratica consolidata di questo manipolo di pionieri. Se questo disciplinare fosse stato approvato, avrebbe rappresentato una colossale presa in giro per il consumatore di vino biologico.
Allora cosa rimane di necessario per fare da ottima uva un ottimo vino? Oggi soltanto piccole dosi di solforosa (da dichiarare in etichetta).
Purtroppo questo non è avvenuto. Si è provato a far approvare un disciplinare biologico molto artefatto e ridondante, dove si potesse comprendere in ampie maglie tutti quelli che fanno il vino convenzionale, e noi ci chiediamo: PERCHE’?
Un mio caro amico mi ha sussurrato, ma mi dissocio da questo cattivo pensiero, che il mercato del controllo del biologico è un mercato che rende ricche le società che lo svolgono e che certamente non vogliono segarsi il ramo su cui vivono di rendita, mettendo paletti molto stretti. Lo stesso amico ha aggiunto che probabilmente anche le impegnative (nel senso di costose) ricerche , fatte spesso da chi non sa come si fa il vino biologico e biodinamico, ricerche finanziate dalla comunità europea e durate anni (altre,, dello stesso tenore, sono in corso di svolgimento) che dovevano indicare la scientificità del come si fa il vino biologico, hanno di fatto partorito più che verità incontrovertibili, approssimative supposizioni e diffuso allarmi inspiegabili sulla difficoltà, ad esempio, di avere una regolare fermentazione spontanea o hanno proposto inutili e superate alternative all’uso della solforosa, quali il lisozima (noto allergene).

Ma passiamo a veder cosa prevedeva l’ultima bozza di disciplinare discussa e respinta in commissione europea: vediamo l’Allegato VIII bis.

Visto quello che si può “impunemente” utilizzare? Appare chiaro che nessuno potrà trovare differenza alcuna con le pratiche enologiche dei vini NON BIOLOGICI oggi in commercio. E allora perché si è chiesto questo inutile disciplinare?
Appare molto specioso e pretestuoso pensare che con tutto quello che si può aggiungere e togliere in questo cosiddetto vino biologico, soltanto la solforosa sia il “killer”; quest’ultima non è certamente innocua, ma non può apparire come l’unica imputata su cui concentrare l’attenzione, distraendosi dal resto (non si dimentichi che spesso se ne assume di più mangiando, ad esempio, i gamberetti già puliti al supermercato, riccamente irrorati di metabisolfito).
D’altra parte è una tecnica molto fine, usata anche dagli strateghi del marketing, quella di concentrare l’attenzione sul particolare, forse poco rilevante ( la solforosa), rendendolo il fulcro del problema e distraendo dal resto delle sostanze, a dir poco, “colpevolmente” ammesse.

Sui media la carta dell’abbandono della solforosa sembra far notevolmente presa, ma a quali atmosfere modificate e prodotti più o meno leciti occorre far ricorso in sua sostituzione? Rinunciare alla solforosa, senza valide alternative, può far produrre un vino scadente, a tutto vantaggio dei detrattori di un modo di produrre di eccellenza.

Considerazione a sé meritano il vino e le produzioni biodinamiche, per i quali non esiste una normativa ma soltanto dei disciplinari privati. Se prendiamo in considerazione le stesure di alcuni di questi, ci accorgiamo che la musica non cambia. Forse anche qui viene il sospetto (il solito amico malpensante) che restringere le maglie equivarrebbe a impedire a molti “trafficoni” di entrare nel sistema, con danno economico evidente a chi di carte e controlli vive.
Anche nel caso di questi disciplinari privati, lieviti e batteri rimangono inoculabili; si può acidificare e disacidificare i mosti; si può correggere il grado alcolico; si chiarifica, si filtra, si usa carbone attivo, solfato di rame, scorze di lievito, bentonite , micro-ossigenazione e così via.
Per chi conosce la biodinamica, questa è l’ammissione che non si è ben compreso come agiscono gli elementi naturali, e che, invece della metamorfosi dell’uva in vino, ci affidiamo alla gallina biodinamica ed al suo ovetto chiarificante.
Ma alla fine ci viene da gridare: al mondo ci sono già tanti vini, anche di successo, che utilizzano molte sostanze ammesse per legge e che si affidano all’indispensabile (secondo loro) utilizzo della chimica di sintesi, della fisica, della meccanica spinta e della microbiologia per produrli. Ma, qualora si arrivasse a fare una legge per il vino biologico o un disciplinare privato per il vino biodinamico, VOLETE NORMARE UN MODO DI FARE ALMENO DIVERSO DA QUELLO CONVENZIONALE?
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Della peronospora e dell’oidio https://viticolturabiodinamica.it/en/della-peronospora-e-delloidio/ Mon, 03 May 2010 14:30:00 +0000 https://viticolturabiodinamica.it/?p=682
Più difficile del fare biodinamica è certamente l’essere credibili. Credibilità difficile da preservare, quando in giro c’è chi non solo fa la biodinamica, ma compie anche miracoli. Uno dei miracoli promessi dai falsi profeti è relativo a quello che si può impiegare per difendere le vigne, in alternativa al rame ed allo zolfo.
Non sarebbe certamente necessario sostituire rame e zolfo nelle vigne biodinamiche, perché il rame che noi usiamo è in quantità bassissima, non si accumula nella terra ed è un microelemento indispensabile alla vita. Non abbiamo la presunzione di avere raggiunto l’obiettivo ultimo che si propone il fare biodinamico, ma alcune certezze le abbiamo: ad oggi non è possibile difendere dalle crittogame la vigna in biodinamica ( men che mai in agricoltura biologica o senza chimica di sintesi, che si voglia dire) senza l’uso del rame e dello zolfo.
Molte prove sono in atto da tempo, per dimostrare il contrario , ma ad oggi nessun principio attivo lecitamente impiegabile consente di avere risultati sicuri, ripetibili e validi. Anche prodotti di difficile impiego per l’elevato costo non si sono dimostrati affidabili.
Siamo all’inizio di una nuova campagna di coltivazione e difesa della vite e quindi rinnoviamo il nostro appello: INVITIAMO TUTTI COLORO CHE RIESCONO A DIFENDERE LE LORO VITI CON PRODOTTI DI VARIO TIPO E NATURA, FACENDO A MENO DI RAME E DI ZOLFO, A SOTTOPORSI A VERIFICA SCIENTIFICA E A DIVULGARE LE PROPRIE ACQUISIZIONI.
Il nostro modo di lavorare vuole rendere accessibile a tutti il fare biodinamico, mentre chi si impegna a raccontare frottole forse ha lo scopo di far fallire i tentativi di espandere la biodinamica. Così facendo, si mina la credibilità della biodinamica e si produce un danno economico all’azienda agricola, alimentando, inoltre, la retorica dei detrattori “scientifici” affiliati all’industria della chimica di sintesi, che ne pontificano l’indispensabilità per l’ottenimento di prodotti agricoli sani e abbondanti.

COSA PROPONIAMO

Il metodo di verifica che noi proponiamo è molto semplice:
Se la cosa risulterà ripetibile nello spazio e nel tempo ( 2-3 anni), saremo ben felici di far sapere al mondo intero che possiamo fare a meno del rame e dello zolfo in vigna, per usare al loro posto SOLO prodotti NATURALISSIMI. Fino a che questo non sia verificabile, chi afferma il contrario è un irresponsabile e, forse, un ciarlatano.
In ultimo una raccomandazione: verificate se chi esercita in agricoltura biodinamica e dispensa consigli sia un tecnico abilitato a farlo. Non è certo una garanzia assoluta di capacità, ma una prima utile scrematura (sui siti on-line delle professioni abilitate si può compiere questa verifica).
Poi valutate anche se conviene usare qualche grammo in meno di rame affidandosi a prodotti concepiti per far penetrare dentro la pianta il principio attivo rame, o se non sia meglio qualche grammo in più di rame, ma in una formulazione che rimanga fuori dalla pianta.
Chiaramente abbiamo avuto modo di conoscere “consulenti “ biodinamici che non distinguono la peronospora dall’oidio e altri convinti che non si può lottare con il solo rame, ma sia soltanto necessario ridurre i sistemici; come pure abbiamo conosciuto alcuni agricoltori che non solo non conoscono la biodinamica, ma la “scavalcano” ancor prima di cominciare a praticarla, attratti da etichette più “vendibili” come la naturopatia o chissà cos’altro, ma questi sono certamente casi limite.

Concludiamo:

Chi asserisce che esiste un metodo valido di lotta con latte, siero di latte, derivati lattici e prodotti fermentati (anche non a base di latte), metodo efficace, sicuro, affidabile e ripetibile: MENTE.
Chi proclama che esistono consorzi di microrganismi commercializzati sotto varie sigle, capaci di rendere inutili i trattamenti rameici e di garantire risultati validi e ripetibili: MENTE.
Chi sostiene l’esistenza di argille, tisane, macerati, estratti e miracolose tinture madri capaci di sostituire il rame e lo zolfo: MENTE.
Anche se sono in corso ricerche a tal proposito, AD OGGI NON ESISTE METODO CERTO E VERIFICATO, ALTERNATIVO ALL’UTILIZZO DI RAME E ZOLFO, IN GRADO DI GARANTIRE RISULTATI RIPETIBILI.
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Delle disattenzioni e delle imitazioni https://viticolturabiodinamica.it/en/delle-disattenzioni-e-delle-imitazioni/ Tue, 13 Apr 2010 14:50:00 +0000 https://viticolturabiodinamica.it/?p=732
A riconoscimento dell’efficacia di un metodo agronomico ed enologico codificato ed affinato negli anni (il Metodo Biodinamico Moderno) e dei risultati di eccellenza che la sua applicazione in vigna e in cantina permette di ottenere, abbiamo creato e registrato per il territorio nazionale e in ambito internazionale il marchio di qualità i vini biodinamici ®, con relativo logo.

Non si tratta di un marchio commerciale ed è concesso a titolo gratuito ai produttori che lavorano secondo il metodo biodinamico moderno, i quali, facendone richiesta e a seguito di verifiche, possono apporre il collarino de i vini biodinamici® solo ed esclusivamente alle bottiglie dei loro vini che, per disciplinare di produzione e caratteristiche organolettiche ed analitiche, di anno in anno rispondano ai requisiti previsti.

La commercializzazione dei vini contraddistinti dal collarino i vini biodinamici® è di diretta e assoluta competenza dei singoli produttori, liberi di presentarsi individualmente sul mercato o di consorziarsi nelle forme che più ritengano opportune, fatto salvo il corretto uso del nome e del marchio.
Da quanto espresso, risulta chiaro che altri vini biodinamici, ma non prodotti secondo il metodo biodinamico moderno e che non godano del riconoscimento dei requisiti stabiliti dal suddetto marchio, non possono legalmente essere presentati in occasione di degustazioni, manifestazioni, fiere, pubblicazioni, comunicati stampa o simili (come è invece accaduto in occasione di quest’ultimo Vinitaly), avvalendosi di questo nome.
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