Informazione e formazione sulla viticoltura ed enologia biodinamica

1° Convegno di Vitivinicoltura biodinamica moderna

convegno di viticoltura

11 luglio 2009 - Villa Medicea di Cerreto Guidi

1° CONVEGNO DI VITIVINICOLTURA BIODINAMICA MODERNA

Casi di studio ed applicazioni di vinificazione biodinamica: il sangiovese ed il dolcetto, dal fare in vigna al fare in cantina

di Leonello Anello
Agronomo, consulente e ricercatore, direttore della Sezione di Scienze Agricole Biodinamiche

Riassunto

La biodinamica moderna è la naturale evoluzione della biodinamica nata nel 1924 dai postulati di Rudolf Steiner. Nella sua sintesi, Steiner ci ha messo in contatto con il pensiero e la pratica che hanno preceduto la conoscenza scientifica, consentendoci oggi di non dimenticare circa 10 mila anni di storia dell’uomo agricoltore. Cosa accade nei sistemi biologici in cui le variabili sono continue e interconnesse ed è difficile separarle e misurarle? C’è differenza tra un fenomeno fisico, misurabile e ripetibile, ed uno biologico, dove ogni organismo vivente non risponde ad un modello unico?
Il vino è una sostanza molto complessa, composta da qualche migliaio di componenti di cui è nota solo una piccolissima parte (spesso empiricamente). La scienza olistica di cui si occupa la biodinamica moderna, è una scienza che cerca di comprendere il sistema vivente nella sua complessità. Le semplificazioni analitiche, numericamente rappresentate, di fenomeni complessi d’interazione delle sostanze componenti il vino con organismi viventi che trasformano l’uva in vino non sono conoscenza scientifica. Uve di Cabernet Sauvignon sono state vinificate in comparazione tra la vinificazione biodinamica moderna e quella convenzionale. Lo stesso è stato fatto con uve di Dolcetto. Del sangiovese si riporta uno studio dell’autore sulle Caratteristiche e peculiarità di vini di tre zone della toscana, ottenuti da uve coltivate e vinificate secondo le tecniche della biodinamica moderna.
Desidero ringraziare tutti quelli che hanno partecipato e che hanno reso possibile questa iniziativa, nonché tutti i relatori per il loro contributo. Vorrei specificare quel che abbiamo in mente di organizzare in questa sede: ripetere questi momenti d’incontro, di dialogo tra le diverse “verità scientifiche” ed arrivare a rappresentare un luogo di aggiornamento nel campo della biodinamica, candidandoci a momento di confronto culturale e di presentazione di acquisizioni scientifiche concrete, indipendentemente dal credo al quale ci s’ispira, olistico o meccanicista. Pongo l’accento sul fatto che per noi che facciamo biodinamica è importante non isolarsi pensando di essere i depositari della verità; eventi come questo permettono non soltanto di confrontarsi con chi la pensa diversamente, ma anche di dimostrare, attraverso la concretezza degli studi e dei vini che presentiamo, che non siamo in presenza di una filosofia speculativa, ma di un modo concreto di agire e di produrre.
La biodinamica nasce nel 1924. I vini che avete sentito oggi sono del 2005, 2006, 2007 e 2008 e sono vini che rappresentano cosa è successo da allora ad oggi. Quindi stiamo parlando di una realtà che cercheremo di dimostrare scientificamente, ma che avete già constatato quanto sia reale , attraverso le vostre papille gustative. Parlerò di biodinamica moderna, perché la biodinamica moderna è la naturale evoluzione della biodinamica nata nel 1924 e rappresenta la punta più evoluta di applicazione pratica dei postulati di Steiner. La biodinamica moderna, pur continuando ad indagare e sperimentare, evita di diffondere quanto ancora non è stato verificato e dimostrato. Steiner non era un agronomo, non era un agricoltore, era colui che in qualche modo ci ha messo in contatto con il pensiero e la pratica che hanno preceduto la conoscenza scientifica. Questo vuol dire circa 10 mila anni di storia dell’uomo agricoltore. Qui, in questo museo della caccia vedete scene ed attrezzi di quando l’uomo era costretto a “correre dietro alla preda”. Prima l’uomo era cacciatore, poteva concentrarsi soltanto sul procacciarsi il cibo, poi, da agricoltore, ha potuto “fermarsi” in un luogo, coltivarlo e cominciare a pensare: questo passaggio risale ad almeno 10 mila anni fa.
Il sapere dell’uomo da quell’epoca a circa 400 anni or sono è quello che Steiner ci ha insegnato, che coincide con l’evoluzione dell’essere umano. Negli ultimi 400 anni abbiamo fatto grandi progressi, ma senza quello che c’era prima, probabilmente oggi non saremo nemmeno qui a discutere. Noi parliamo di scienza biodinamica, aggiungendo “scienza dello spirito”. Senza essere prevenuti, questo non sta a significare che abbiamo confuso la materia scientifica e la religione, ma che semplicemente affermiamo che nelle azioni dell’uomo è presente la sua essenza che lo differenzia da tutto il resto del mondo vivente e questa essenza la individuiamo nella sua coscienza spirituale, nel suo essere cosciente di sé. Per noi non esiste la scienza senza il coinvolgimento dell’uomo come entità spirituale; non come emotività e sentimento, ma come spirito.
Consideriamo che fino ad Galileo la natura era descritta in termini qualitativi. Aristotele ha consentito la trasmissione al mondo della descrizione qualitativa della natura ed ha reso comuni i termini di forma e di sostanza descrivendo i processi naturali, termini a cui, ancora oggi, ci ispiriamo in biodinamica.
Successivamente, con l’età moderna, la descrizione della natura è diventata quantitativa. Vuol dire che, partendo dalla filosofia pitagorica, si è trasformata la conoscenza in rappresentazione numerica. Oggi la scienza meccanicista ufficiale rappresenta i fenomeni in modo numerico, rifacendosi e dando forma scientifica alle intuizioni di Pitagora, uno dei primi esoterici. Qualche scienziato di dubbia fama, oggi, non si preoccupa se Steiner abbia detto delle cose importanti o meno ma soltanto se sia stato un esoterico; Pitagora era un esoterico e nessuno di voi, oggi, confuterebbe le sue conoscenze e quello che ci ha consentito di sapere, soltanto perché era esoterico. In ugual modo per Rudolf Steiner, occorre valutare il contenuto delle sue affermazioni. Noi ci poniamo delle domande riguardo alla conoscenza scientifica dominante .
La scienza per l’uomo ha lo scopo di comprendere e spiegare tutto quello che ci circonda e può farlo in vari modi.Affermare che la realtà scientifica, per essere tale, deve essere misurabile e ripetibile, può essere limitante? Cercare il nesso causa- effetto anche nei fenomeni biologici ha un senso? La fisica studia solo ciò che è misurabile, quindi quello che non è misurabile semplicemente non esiste? La scienza meccanicista ha bisogno di isolare i fenomeni e di studiarli singolarmente; nella complessità è difficile capirci qualcosa. È difficile rappresentare numericamente qualcosa di complesso?
Cosa accade nei sistemi biologici in cui le variabili sono continue e interconnesse ed difficile separarle e misurarle? C’è differenza tra un fenomeno fisico, misurabile e ripetibile, ed uno biologico dove ogni organismo vivente non risponde ad un modello unico? Ed ancora: la storia dell’uomo è costellata dalla negazione di determinati fenomeni in un momento e dal loro successivo riconoscimento soltanto qualche tempo dopo. Chi può disconoscere come la terra immobile al centro dell’universo abbia rappresentato la verità per millenni e come tutto sia stato rivisto (dall’elaborare teorie al vivere quotidiano) quando si è “scoperto “ o riscoperto con testi accreditati che il sole stava fermo e la terra girava.
Possiamo quindi ragionevolmente affermare che oggi la non-conoscenza di determinati fenomeni e modalità di funzionamento dei sistemi viventi, non rappresenta un limite assoluto ma soltanto una momentanea ignoranza che non deve diventare un arrocco razionalista. In questo nuovo modo di considerare la scienza, il sapere biodinamico si può considerare sicuramente risorsa. Nella scienza meccanicistica si semplifica, si circoscrive il modello che si deve indagare e studiare e si riducono le variabili d’ostacolo all’interpretazione dei risultati. Ma questo è un grande limite, soprattutto nello studio di meccanismi biologici complessi dove l’interazione all’interno del sistema vivente è molto più importante delle singole funzioni. Lo studio delle piante e del vino rappresenta chiaramente un esempio di forzata semplificazione. Il vino è una sostanza molto complessa, composta da qualche migliaio di componenti di cui è nota solo una piccolissima parte (spesso empiricamente); inoltre sono poco conosciute anche le innumerevoli interazioni tra sostanze note e meno note.
Eppure nella pratica enologica si ricorre alle ricette, ai protocolli di vinificazione. Paradosso evidente: quando non si conosce la maggior parte delle sostanze componenti, non si conosce gran parte delle interazioni tra queste sostanze, come si definiscono procedure, protocolli per gestire e produrre il vino? Si arriva quindi a semplificare una sostanza complessa poco conosciuta producendo una bevanda a base di vino. La scienza olistica di cui si occupa la biodinamica moderna, è una scienza che cerca di comprendere il sistema vivente nella sua complessità. Un organismo vivente non è una composizione di cellule. La nostra interpretazione non è atomistica, ma è una entità vivente, che, come si diceva in precedenza, se viene scomposta, non è più possibile comprendere.
Nel caso del vino, la biodinamica moderna considera che, non avendo la conoscenza totale dei suoi costituenti né tantomeno potendo applicare conoscenze di soluzioni idroalcoliche a sistemi viventi contenenti miliardi di microrganismi, alterarne i rapporti e semplificarne le sinergie è perlomeno miope. Ci rivolgiamo quindi attraverso un approccio olistico all’insieme del sistema vino e per gestirlo procediamo attraverso la “conduzione” degli ELEMENTI NATURALI che governano i processi che produrranno il vino. Assecondiamo lo sviluppo del vino governando le forze eteriche che producono la metamorfosi dell’uva in vino, arrivando ad un’intima relazione con questa materia organica vivente attraverso le percezioni sensoriali. Quest’ultimo aspetto significa che, mentre facciamo il vino, lo osserviamo, lo annusiamo, lo assaggiamo continuamente per capire cosa fare.
Non possiamo SEMPLIFICARE i sistemi viventi per ricavarne delle ricette globalizzate. Quanto appena detto esprime l’opposizione tra due modi concettuali di accostarsi al sapere per trasformalo in atti pratici. Niente in questa sede deve far pensare che si critichi un modo di fare per affermare la superiorità di un altro modo di fare; ma deve essere ben chiaro, anche al consumatore, che esistono modi diversi di operare per ottenere un vino o una bevanda a base di vino.
Il metodo di Glories, che serve per individuare l’estraibilità degli antociani, si è dimostrato inaffidabile; noi lo diciamo da molti anni, e oggi a rimetterlo in discussione sono anche scienziati di chiara fama. Perché la simulazione di quella che è l’estraibilità di alcune sostanze dell’uva nel vino, si è dimostrata soltanto una simulazione. Affidarci a questo metodo per determinare in laboratorio l’epoca della vendemmia è stato fallimentare e ha prodotto le conseguenze di chimeriche maturazioni fenoliche con produzione di vini ad elevatissimo grado alcolico. Le semplificazioni analitiche, numericamente rappresentate, di fenomeni complessi d’interazione delle sostanze componenti del vino con organismi viventi che trasformano l’uva in vino NON SONO CONOSCENZA SCIENTIFICA . Racchiudere in modelli sistemi viventi in dinamica evoluzione può significare snaturare l’essenza del prodotto ottenuto. Sicuramente potremo approfondire questi argomenti in altre sedi e convegni futuri. Uno degli scopi di questi momenti d’incontro e confronto tra paradigmi scientifici è anche quello di fare chiarezza sulle terminologie e da parte nostra c’è questa responsabilità di dover essere chiari e comprensibili nella comunicazione. Noi abbiamo un nostro linguaggio, la scienza biodinamica ha un linguaggio proprio. Abbiamo anche dei nostri sistemi di valutazione analitica, che devono essere portati a conoscenza e confrontati con i risultati dei sistemi analitici convenzionali.
Abbiamo un’agronomia nostra; abbiamo una botanica nostra; abbiamo una fisiologia delle piante nostra, ecc. Certo la nostra idea di pianta non è quella di un insieme di tessuti ed organi, come studiamo all’università, che va benissimo dal punto di vista meccanicistico e va benissimo per teorizzarne il funzionamento; per noi la pianta è un’entità complessa che nelle sue singole parti non racchiude il segreto del suo essere viva, ma rappresenta soltanto nel suo insieme la forma in cui si manifesta la forza vitale del cosmo che si “condensa” sulla terra. Per noi la pianta è un insieme di corpi. Questo non significa che non bisogna conoscere la pianta anche nelle sue componenti anatomiche e fisiologiche per lavorare in biodinamica ma non si può applicare esclusivamente una conoscenza meccanicista al lavoro in biodinamica, altrimenti si lavora in modo approssimativo, confuso e non si ottengono risultati.
Per noi la pianta non è soltanto quello che c’è scritto nei libri di botanica e di fisiologia, è anche altro. Noi suddividiamo l’appartenenza al mondo in quattro regni , un regno minerale, un regno vegetale, un regno degli animali e un regno dell’uomo. Nel procedere dal regno minerale all’uomo aumenta la complessità degli organismi e in relazione con la comparsa evolutiva degli appartenenti a questi quattro regni aumenta la presenza di un “corpo” successivo che dispone a qualità della coscienza fino all’ultimo gradino d’evoluzione rappresentato dall’uomo spirituale cosciente in ogni sua azione.
Per noi la pianta, ad un primo livello di complessità minerale (corpo fisico) appone un livello primo dell’esser vitale, il corpo eterico o vitale appunto. Abbiamo un primo livello, che è il livello del corpo fisico, che tutti gli organismi viventi hanno, e quindi anche la pianta ha, ed è la parte più minerale di essa; in tutti i sistemi viventi esiste il corpo fisico. Si diventa organismi vitali, nel momento in cui si presenta un’altra entità, che è quella di cui parlavamo prima, che dà alle componenti inorganiche ( minerali) la vita e la trasforma in componente organica: questa entità è il corpo vitale, o CORPO ETERICO.
Per noi la pianta è fatta di questo. La parte energetica che rappresenta l’essere vivi, sulla quale interagiamo per governare le piante coltivate ed arrivare all’espressione di una certa forma fisica. C’è una terza componente, quella ASTRALE , che è legata al regno animale e che avvolge la pianta dall’esterno; vi faccio per ora solo un rapido riferimento per non appesantire l’esposizione e arrivare più direttamente alla parte del vino.
Noi ricaviamo la nostra conoscenza della natura dal modo in cui agiscono i quattro elementi. Essi sono presenti contemporaneamente nel mondo che ci circonda, e lavorano a coppie. Generalmente ogni esemplificazione è penalizzante: diciamo che lavorano a coppie e rappresentano lo stato della materia, di come si può presentare la materia, animata e inanimata. Questa conoscenza è ancestrale nel mondo ed ha consentito la storia dell’uomo. La biodinamica insegna a recuperarla e ci consente di capire e valutare la realtà che osserviamo in vigna o nel fare il vino con una percezione attiva diretta che non può essere sostituita (oggettivata) da valutazioni analitiche fatte in un laboratorio magari distante qualche centinaio di chilometri dalla nostra vigna.
Ad ogni elemento, fuoco-aria-acqua-terra, si riconduce una forza sottile che noi chiamiamo etere e che si oppone a una forza fisica misurabile; dalle combinazioni di queste triadi ( forza fisica – elemento – forza sottile) e dal rapporto tra i quattro elementi scaturisce la sostanza di cui è composta, ad esempio, la pianta coltivata e, quindi, la sua forma che ci racconta tutto sul suo rapporto con la vitalità e di quello che noi abbiamo fatto con le nostre azioni di agricoltori. Nel caso dell’aria è la luce, importantissima per la vigna e, poi, per il vino: l’uva matura con la luce, non con il sole. Alcune ricerche scientifiche lo confermano, tramite l’inserimento dei grappoli d’uva attaccati alla pianta in pre-invaiatura in sacchetti scuri di carta oppure in camere di vetro trasparenti ma a chiusura ermetica. Nel primo caso le piante, soprattutto di pinot noir, hanno tranquillamente portato in fondo la loro maturazione (invaiatura), quindi anche non avendo un rapporto diretto con la luce del sole, ma con l’aria che poteva penetrare nel sacchetto di carta. Nel caso della campana di vetro il grappolo, pur illuminato dal sole, ma non avendo contatto con l’aria, è rimasto nella fase di pre-invaiatura.
Questo lo sappiamo dal 1924. Per diecimila anni l’uomo l’ha saputo, la scienza meccanicista invece ci sta arrivando ora e si domanda: come mai? Non doveva essere il sole a maturare l’uva? Noi sosteniamo che nell’aria è presente l’ETERE DI LUCE “entro” un elemento naturale che è l’aria. Il calore è un altro elemento naturale fondamentale per il vino, il calore che fa maturare nella botte il vino; mentre, all’opposto, il calore fisico brucia l’uva, la rende passita, incapace di mantenere la sua presenza e la trasforma in vino ossidabile.
Il nostro è un linguaggio che esprime concetti che non pretendo siano immediatamente condivisi, ma che vuole suggerire come vi sia un percorso scientifico da intraprendere per capire quel che si fa in biodinamica. Concludo il mio intervento parlando del vino biodinamico, tratteggiando alcuni concetti generali e rifacendomi ad alcuni lavori scientifici di ricerca applicata sui quali abbiamo lavorato negli ultimi anni . Anche in cantina si può lavorare con gli ELEMENTI e gli ETERI. Chi conosce realmente la scienza biodinamica sa di che cosa stiamo parlando. Chi pensa che l’uva biodinamica si porti in cantina ed il vino si faccia da solo non ha alcuna conoscenza della Bio –dinamica o perlomeno della parte Dinamica del termine.
Sono due gli elementi fondamentali per la metamorfosi del vino: l’elemento acqua è solo secondario. Questi elementi sono l’aria, quindi l’etere di luce, che vuol dire ciò che rappresenta l’energia sottile dell’aria e l’ETERE DI CALORE, energia sottile dell’elemento fuoco. Queste sono i due elementi sui quali noi dobbiamo lavorare per produrre un vino. E questo implica una serie di accorgimenti e di scelte. Significa usare l’aria e non l’ossigeno, perché l’ossigeno è una sostanza che agisce in modo contrario all’aria: chi va sott’acqua sa cosa vuol dire avere delle bombole caricate ad ossigeno o averle caricate ad aria. Aerare il vino è una cosa, ossigenarlo è un’altra. Così come modificare le temperature, agendo sul calore fisico, energia materiale opposta all’etere di calore, produce effetti e reazioni che minano la vitalità del frutto. Il controllo delle temperature prima e durante la fermentazione, altera anche gli equilibri delle popolazioni microbiche oltre a modificare il lavoro degli elementi che scolpiscono e definiscono il vino. Queste sono solo alcune delle implicazioni. Le conoscenze sugli elementi ci guidano in tutte le fasi della trasformazione, compresa la scelta del materiale in cui è costruito il tino.
A tal proposito siamo favorevoli al legno, che pure è fuoco ma contenente l’aria, e siamo contrari alla terracotta, che è assolutamente fuoco fisico, ed infatti cuoce ed ossida il vino. Siamo favorevoli al cemento, al calcare; siamo contrari assolutamente all’acciaio. Per fare un buon vino biodinamico, occorre farsi guidare dalle conoscenze del mondo degli elementi e non da quello che meglio si vende al pubblico della carta patinata. Il vino che noi produciamo deve soddisfare anche i parametri di qualità indicati dalle nostre tipologie d’analisi e questo riportato è un esempio:
Due vini di cabernet sauvignon, in comparazione.
VINO A: è un vino biodinamico
VINO B: è ottenuto con un protocollo convenzionale.
Entrambi provengono da uva biodinamica.
confronto uva biodinamica
Figura 1
Con questo esempio di analisi vedete come basta una determinata scelta nella trasformazione per far perdere o valorizzare nel vino il lavoro biodinamico fatto per ottenere l’uva.
Si tratta di un sistema d’analisi per immagini, la DINAMOLISI capillare, che ci fa immediatamente riconoscere la differenza fra l’esplosione di energia vitale che c’è nel vino A ed è assente nel vino B
Negli ultimi nove anni, per il vino, abbiamo fatto soprattutto della ricerca comparata. Una volta che l’azienda è biodinamica, ne prendiamo l’uva e la trasformiamo comparando la vinificazione biodinamica con quella convenzionale. Abbiamo lavorato in diverse zone d’Italia su molti vitigni.
Con questo esempio di analisi vedete come basta una determinata scelta nella trasformazione per far perdere o valorizzare nel vino il lavoro biodinamico fatto per ottenere l’uva. Si tratta di un sistema d’analisi per immagini, la DINAMOLISI capillare, che ci fa immediatamente riconoscere la differenza fra l’esplosione di energia vitale che c’è nel vino A ed è assente nel vino B. Negli ultimi nove anni, per il vino, abbiamo fatto soprattutto della ricerca comparata. Una volta che l’azienda è biodinamica, ne prendiamo l’uva e la trasformiamo comparando la vinificazione biodinamica con quella convenzionale. Abbiamo lavorato in diverse zone d’Italia su molti vitigni.
comparazione vitigni
Figura 2
Generalmente affidiamo la trasformazione secondo protocolli convenzionali ad enologi e cantinieri esperti della zona, che lavorino all’interno dell’azienda. Questo al fine di avere un confronto ai massimi livelli. Quindi andiamo a valutare i risultati ottenuti fino alla degustazione.

L’esempio che vi riporto si riferisce al dolcetto. La produzione di vini rossi biodinamici prevede queste sequenze.

Generalmente affidiamo la trasformazione secondo protocolli convenzionali ad enologi e cantinieri esperti della zona, che lavorino all’interno dell’azienda. Questo al fine di avere un confronto ai massimi livelli. Quindi andiamo a valutare i risultati ottenuti fino alla degustazione.L’esempio che vi riporto si riferisce al dolcetto. La produzione di vini rossi biodinamici prevede queste sequenze.
produzione vini rossi biodinamici
Figura 3
Le pratiche impiegate sono quelle per la gestione di un razionale processo di eccellenza, che trasformi al meglio le uve. Non mi soffermo sulle uve, sulla qualità dell’uva: sarà tema e oggetto di un altro convegno in cui racconteremo il lavoro scientifico che abbiamo fatto in questi ultimi sei-sette anni.
Quindi abbiamo usato per questa prova sul dolcetto, di cui vado a parlare, uve la cui fermentazione e affinamento è stata fatta in legno. La comparazione è stata fatta per tre anni e se ne riporta il risultato nella figura 4.
tabella dolcetto
Figura 4
Le analisi, eseguite ad oltre un anno dalla svinatura, evidenziano come siamo in presenza di un vino “analiticamente corretto” anche nel caso del “protocollo” biodinamico. Questa era la prima prova del 2004.
Ora andiamo al dettaglio di un’annata successiva, il 2005, seconda annata di confronto biodinamico e convenzionale presso l’azienda Casa Wallace di Cremolino (AL).
Il protocollo convenzionale è stato definito da enologi e laboratori enologici accreditati internazionalmente, ai quali l’azienda ha dato incarico di realizzare il miglior vino dolcetto che potessero fare per il mercato, dando inoltre mandato per eseguire tutti i rilievi analitici nel triennio di prove, nonché di organizzare anche una valutazione organolettica.
Il tutto partendo comunque da uve biodinamiche, lavorando quindi in condizioni non sperimentali teoriche, ma in condizioni pratiche di cantina con l’obiettivo di ottenere un vino da destinare alla bottiglia. Questo è il protocollo del vino convenzionale.
additivi dolcetto
Figura 5
Il vino biodinamico ha questo protocollo: metabisolfito di potassio 4 gr a ettolitro in fermentazione e 4 gr a ettolitro entro un anno.
Vedete che già c’è una differenza sostanziale fra il numero di sostanze che vengono aggiunte in un protocollo biodinamico e in uno convenzionale. Stiamo parlando da una parte di un’enologia d’avanguardia, che produce dei vini secondo conoscenze e pratiche moderne e dall’altra parte di vini biodinamici con impiego ridotto o nullo di additivi chimici e tecnologia molto di base. Questi vini biodinamici così ottenuti, avete avuto modo di degustarli oggi ; tra questi vi era il dolcetto di cui parliamo, pertanto oltre ai parametri analitici potete direttamente comparare i vostri parametri organolettici.
Tutto quello che normalmente si usa per fare un vino: lieviti selezionati, tannino, vitamina, solfato ammonio, fosfato ammonio, batteri lattici, acido metatartarico, acido tartarico, gomma arabica, rame, CO2, scorza di lievito, e via dicendo, non è stato utilizzato nel caso del vino biodinamico.
Questo non è stato fatto in modo sperimentale, perché volevamo dimostrare qualcosa: così è come si fa il dolcetto, il miglior dolcetto che si possa fare. Con questo tipo di approccio, il nostro dolcetto, a fermentazione spontanea, ha avuto questa evoluzione.
grafico dolcetto biodonamico
Figura 6
L’evoluzione del dolcetto convenzionale è quella seguente.
grafico dolcetto
Figura 7
Nelle figure 6 e 7 vedete il decorso della temperatura del mosto e del grado Babo. Una fermentazione continua, costante, con una permanenza del mosto sulle bucce, nella vinificazione biodinamica, ben oltre il diciottesimo giorno. Nella figura 7 c’è il decorso del processo nel dolcetto convenzionale, a circa 10 gradi Babo, è stato svinato. Avviene una svinatura a caldo temendo la riduzione e una perdita di colore.
Praticamente si fa questa svinatura, allontanando precocemente bucce e buona parte dei componenti del vino e provvedendo successivamente alla ricostituzione, attraverso scorze di lievito ed altro, di quello che non si è estratto.
Questo è tutto quello che noi abbiamo seguito analiticamente dal 23 settembre 2005. Il 16 settembre iniziava la fermentazione, per entrambi i vini , quello biodinamico veniva svinato il 4 ottobre . Nella tabella anche le analisi ad un anno (4 ottobre 2006).
tabella
Figura 8
Noi l’abbiamo svinato il 4 ottobre, mentre il vino convenzionale veniva svinato dopo 6 giorni dall’inizio della fermentazione, quindi il 22 settembre.
Ad un anno dalla svinatura i dati dei due vini erano i seguenti:
parametri dolcetto
Figura 9
Si evidenzia il livello di antociani totali e di flavonoidi totali nel biodinamico con 207 mg/l e 1877 mg/l, mentre nel vino convenzionale, dove sono state aggiunte anche sostanze in grado di fissare il colore, i valori sono 288 mg/l per gli antociani e 1973 mg/l per i flavonoidi totali. Vedete che c’è un pH molto diverso: pH 3,64 nel biodinamico e pH 3,46 nel convenzionale, con una maggior piacevolezza in bocca con il pH del biodinamico.
Il residuo zuccherino voluto di 5 g/l nel convenzionale, mentre il biodinamico risulta secco. La prima domanda che ci siamo posti sui risultati, ed insieme a noi se la sono posta in molti, è stata: c’era bisogno di aggiungere tutte quelle sostanze nel vino convenzionale, per ottenere questi risultati che sono di poco diversi dal biodinamico e non rappresentano un incremento qualitativo del vino?
E’ questo un punto fondamentale dal quale partire. Perché si segue quel protocollo? Per ottenere un vino qualitativamente migliore? Analiticamente non è stato dimostrato questo. Allora siamo andati a verificare gli aspetti organolettici.
Giudizio complessivo dopo numerose degustazioni: il dolcetto biodinamico ha un profumo intenso, è morbido, lungo; il dolcetto convenzionale è poco profumato, astringente, ruvido e corto. Quindi, se torniamo al confronto, noi abbiamo applicato integralmente le nostre conoscenze all’uva biodinamica per ottenere un prodotto di eccellenza. Chi ha fatto il protocollo enologico ha fatto il massimo che poteva fare per ottenere dall’uva biodinamica ( ritenuta ottima) un prodotto di eccellenza. I risultati sono quelli visti e ogni altro commento è superfluo. Dal 2007 tutto il vino aziendale è prodotto in modo biodinamico. Il vino che si è degustato oggi è stato degustato anche dai critici del settore e riportiamo due giudizi, il primo di Luca Maroni che attribuisce valutazione complessiva di 88/100 con valori di 30 in equilibrio, 30 in consistenza e 28 in integrità. Riportiamo anche il giudizio di Sandro Sangiorgi che dice:
parametri organolettici
Figura 10
Quindi possiamo dire che quello biodinamico E’ UN VINO; un vino che può sostenere anche un confronto alla cieca con i vini da protocollo enologico e che non ha bisogno, per essere bevuto, di alcuna giustificazione sul modo con il quale è stato prodotto. Ci sono molti pregiudizi sul vino biodinamico ed io mi auguro che in futuro, partendo anche da questa nostra esperienza ormai decennale, si possano superare. Una volta dimostrato che è possibile realizzare un eccellente vino biodinamico sarà opportuno, si arrivi ad un confronto sulle sue qualità organolettiche.
In quest’occasione sono presenti molti ricercatori della scienza ufficiale e senza alcun pregiudizio reciproco porgo loro l’invito ad utilizzare uve biodinamiche, che siamo disposti a fornirgli, per ripetere ed approfondire le nostre esperienze, al fine di validare o confutare quanto da noi affermato.
Confrontarsi e riportare i risultati in questa sede è uno dei nostri obiettivi qui a Cerreto Guidi. Sono molti i pregiudizi sulla biodinamica e sul vino biodinamico.
pregiudizi vino biodinamico
Figura 11
Pregiudizi che portano ad utilizzare un protocollo enologico che metta al riparo da quanto riportato nella figura 11. Non posso analizzare tutti i parametri per questioni di tempo, ma voglio spendere due parole sulla fermentazione spontanea. Le fermentazioni spontanee non sono mai responsabili di “arresti”. Anche in annate difficilissime, come il 2002 o il 2003, non si sono verificati problemi.
Certo bisogna intendersi sui termini: fermentazione spontanea non è quella che ricorre alla selezione di pseudo lieviti autoctoni riportati ogni anno nel mosto, ma quella che si fa con i lieviti che ci sono principalmente su quell’uva, in quel luogo, ogni anno. E ancora: la fermentazione spontanea non vuol dire fermentazione abbandonata a se stessa, ma guidata. Siamo noi che facciamo “decollare” la fermentazione spontanea quando decidiamo. Se non fraintendiamo i termini, sarà difficile dimostrare il contrario di quanto da noi affermato e dimostrato.
Un altro pregiudizio: il puzzo di sudore di cavallo, la fobia del Brettanomyces. Un vino difettoso può avere queste puzze, sia esso biodinamico o convenzionale, un vino ben fatto no. Noi facciamo molte degustazioni alla cieca: in almeno due casi documentati è stato individuato il difetto di cui sopra in vini rinomati ottenuti da protocollo enologico e non nei vini biodinamici, come aveva sentenziato la maggior parte dei presenti.
Allora abbiamo voluto fare un passo ulteriore, cui stiamo ancora lavorando, ma voglio anticipare un dato preliminare in questa direzione. Visto che non erano i vini biodinamici a puzzare di sudore di cavallo, ma quelli convenzionali che usano una serie di sostanze aggiunte estranee all’uva, abbiamo fatto la seguente prova. Abbiamo vinificato nella stessa cantina l’uva biodinamica di cabernet sauvignon sia in modo convenzionale che in modo biodinamico. Questi i risultati:
cabernet 2008
Figura 12
Siamo orientati a credere che questi valori più alti di 4-etilen fenolo (indicatore della presenza dei microrganismi incriminati) nel vino convenzionale provengano dal tannino aggiunto, ma è solo una supposizione da approfondire. Il vino biodinamico, per noi, è quel vino che deve essere bevuto senza doverne giustificare i difetti. Questo è imprescindibile. Se è difettoso comunque il difetto non è da imputare al fatto che sia biodinamico, ma agli errori di realizzazione; né più e né meno di quello che accade in molti vini convenzionali notevolmente imperfetti.
Ribadiamo, quindi, che è possibile produrre un vino biodinamico comparabile e anche superiore, sia nei parametri organolettici che analitici, al vino convenzionale. Si può produrre un vino biodinamico senza additivi e senza sofisticate tecnologie, senza interventi di correzione fisico-chimici, ad eccezione soltanto dell’aggiunta di piccole dosi di metabisolfito di potassio. Ad eliminare quest’ultima sostanza non siamo ancora arrivati, a meno di non fare dei vini imperfetti. Ma stiamo parlando di tenori molto bassi di SO2, compresi tra 60 mg/l e 25 mg/l di solforosa totale nei vini degustati.
Concludo con un lavoro sul Sangiovese, visto che siamo in Toscana. Questo è un altro lavoro che troverete dettagliatamente negli atti del terzo simposio internazionale sul sangiovese tenutosi a Firenze nel dicembre 2008 dal titolo “Caratteristiche e peculiarità di vini sangiovese di tre zone della Toscana, ottenuti da uve coltivate e vinificate secondo le tecniche della biodinamica moderna”.
Figura 13
Queste sono prove sul sangiovese condotte per tre anni in tre zone diverse della Toscana: Montalcino, Greve e Montalbano. In tre aziende biodinamiche consolidate. Con questi studi, condotti secondo procedimenti scientifici convenzionali, volevamo verificare:
1) È possibile condurre in modo biodinamico vigneti di Sangiovese in Toscana, in modo economicamente conveniente e qualitativamente valido?

2) È possibile vinificare queste uve ed ottenere dei vini d’eccellenza applicando “protocolli” integralmente biodinamici?
Nelle figure successive trovate le espressioni concrete di come sia possibile produrre un vino in biodinamica e come questo risulti stabile e di notevole pregio.
Tali considerazioni, per noi chiaramente scontate dopo qualche lustro di risultati positivi, appaiono ancora poco evidenti al mondo scientifico. Questi sono i parametri del vino sangiovese prodotto a Greve nel 2006, con accanto i parametri analitici riscontrati nel 2008.
sangiovese chianti
Figura 14
Questi i dati del Sangiovese del Montalbano, prodotto nel 2005 e seguito nel decorso dei parametri analitici nel 2007.
sangiovese montalbano
Figura 15
In ultimo i dati relativi al sangiovese 2005 prodotto a Montalcino.
sangiovese montalcino
Figura 16
Come appare evidente dai dati riportati, E’ POSSIBILE PRODURRE IL VINO BIODINAMICO. I parametri analitici descrivono prodotti in linea con le aspettative, non confermano le paure relative alle degenerazioni possibili per non aver applicato materie e concetti dell’enologia industriale (esp. acidità volatile) e in alcuni aspetti esprimono risultati talmente positivi da dover far rivedere alcune certezze alla stessa enologia convenzionale (esp. quantità di polifenoli totali). Di tutto questo potremmo discutere a lungo, ma lo faremo in altre sedi. E’ interessante, infine, concludere parlando dei test di degustazione. Perché i numeri sono bellissimi, ma il vino si deve degustare.
Riguardo ai parametri organolettici, appena un mese dopo la svinatura , questi vini sono stati sottoposti al giudizio di esperti degustatori e sono stati in tutti i casi giudicati privi di difetti tecnici, evidenziando inoltre quanto nella figura 17.
test degustazione
Figura 17
Mi soffermo soltanto su due giudizi: “molto morbido” (stiamo parlando del sangiovese alla svinatura!) ed “assenza di astringenza”. Ma come? Abbiamo registrato sensazioni completamente opposte ai due capisaldi su cui si è costruita la certezza della necessità di far invecchiare il sangiovese? I vini risultano “morbidi e senza astringenza”.
“Assenza di retrogusto amaro”: un altro caposaldo del sangiovese rimesso in discussione. “Eleganza”, e non è più necessario commentare.
Poi abbiamo fatto una serie di valutazioni, con degustatori non casuali, cioè persone che partecipavano ai nostri corsi, quindi non professionisti della degustazione ma consumatori attenti (complessivamente circa 500 persone). E queste sono le loro sensazioni.
degustazione consumatori
Figura 18
Faccio notare soltanto la “difficoltà a riconoscere il sangiovese”.
Abbiamo quindi riflettuto e interpolato i giudizi dei degustatori esperti con quelli dei cosiddetti degustatori non casuali. Emerge chiaramente che i descrittori abituali del sangiovese sono messi in discussione e che probabilmente il gusto codificato e conosciuto riferito al sangiovese forse non è proprio di quel vitigno ma della tecnica di trasformazione.
Su questo dobbiamo riflettere. Noi, con la biodinamica moderna, coltiviamo l’uva in modo aderente all’espressione del territorio: la pianta si nutre del territorio in cui vive, lo esplora con radici potenti, non riceve concimazioni né irrigazioni, non subisce menomazioni nella chioma, partecipa attivamente alla sua difesa dai parassiti, e trasformiamo l’uva in vino senza quasi alcun additivo chimico, senza alcuna aggiunta microbiologica; non ricorriamo all’impiego di mezzi fisici e di macchine a tecnologia sofisticata; otteniamo quindi un prodotto, secondo noi e per il buon senso comune, che esprime quel territorio. Il sangiovese così prodotto e trasformato non viene riconosciuto tramite i descrittori attribuitigli dalla “letteratura dominante”. E’ colpa nostra, che abbiamo ottenuto sicuramente un prodotto di quel territorio e di quel vitigno , o fino ad oggi si sono date delle caratterizzazioni al sangiovese che non sono sue?
Non è forse che il sangiovese non è mai astringente alla svinatura? Non è forse che il sangiovese non è mai amaro? Può essere la tecnica produttiva CONVENZIONALE, molto invasiva, sia in vigna che in cantina, a definire quelle caratteristiche che invece attribuiamo al sangiovese?
Queste sono le riflessioni che lascio e che sicuramente meritano da sole un altro convegno.

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