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Verdeggiate più grassi, pàmpini, nella pergola. Goethe, Steiner e noi

Goetheanum

Intervento in occasione del 6° Convegno di Vitivinicoltura biodinamica moderna: “Paradigmi scientifici a confronto”
Villa medicea di Cerreto Guidi

Quando si pensa a Johann Wolfgang Goethe e il vino, vengono in mente due aforismi, uno tanto noto da trovarsi stampato, oltre che sulle etichette, anche sui gadget e sulle cartoline:

La vita è troppo breve per bere vini mediocri

Un aforisma ambiguo, suona come un inno al piacere scritto dal copy di un’agenzia pubblicitaria, ma nasconde la tragedia del suo unico figlio, August, morto a soli 41 anni di cirrosi epatica. L’altro aforisma di Goethe sul vino è meno noto, ma altrettanto evocativo:
Naturalmente, si può sostituire donna con uomo, ma non si può sostituire il bicchiere di vino che ha ispirato e nutrito corpo e anima di uno dei più grandi uomini di cultura di tutti i tempi. George Eliot diceva di lui che era stato l’ultimo uomo universale.
Come titolo di questa riflessione, non ho scelto uno degli aforismi, ma i primi versi di una poesia che, nella sua completezza, recita:

Verdeggiate più grassi,

pampini, nella pergola fin qua

verso la mia finestra!

Sbocciate più fitti, acini

gemelli, e maturate

più in fretta e splendendo più colmi!

Vi cova lo sguardo materno

dell’ultimo sole, vi spira dintorno

leggera la gloria feconda

del cielo amico;

vi rinfresca il sereno

magico soffio di luna,

e vi bagnano, ahi!,

da questi occhi

le lacrime turgide piene

dell’amore che senza fine vivifica.

(Goethe, Autunno 1775)

Non mi cimento nell’esegesi del testo, lascio ad ognuno il piacere di trovare rimandi ai temi di fondo della biodinamica.
Perché ho scelto una poesia? Perché Goethe insegna che quello che ci circonda – e noi stessi che lo percepiamo e lo viviamo – possiamo essere rappresentati in molte forme, dai numeri e dalle descrizioni della ragione e dell’intelletto, ma anche dal canto delle parole. E la scienza non fa eccezione.
Il titolo del convegno Paradigmi scientifici a confronto è mutuato dalla teoria epistemologica di Khun. In estrema sintesi, il filosofo americano sostiene che la ricerca scientifica procede per salti. Le leggi che interpretano la realtà sono tutte coerenti all’interno di un sistema dato, ma non è detto che esso sia l’unico. Nell’epoca in cui un paradigma si afferma, gli scienziati che si muovono all’interno del suo perimetro si guardano bene dal mettere in dubbio i fondamenti della loro pratica e il contesto che le fa da sfondo.
Nel suo testo La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Khun spiega come si passi da un sistema all’altro attraverso fratture, con conseguenti cambi di paradigma. Quando un fenomeno non si riesce a spiegare è indispensabile un radicale cambiamento dell’orizzonte in cui è collocato: perché il sapere proceda è indispensabile passare a un nuovo paradigma.
Per Goethe:
Qual è il paradigma di Goethe? Ci interessa rispondere a questa domanda perché, come sappiamo, è da Goethe che parte Steiner, dagli studi sulle sue opere scientifiche e filosofiche, oltre che letterarie.

Possiamo dire, semplificando, che se Steiner è il padre della biodinamica, Goethe ne è il nonno. Il paradigma all’interno del quale si colloca Rudolf Steiner è quello disegnato da Goethe.

Ricordiamo che nel 1882, su proposta di Karl Julius Schröer, suo docente, dal professor Joseph Kürschner, curatore di una nuova edizione delle opere di Goethe, Steiner fu incaricato di occuparsi delle opere scientifiche. Nel 1886 pubblicò un primo libro sulla filosofia di Goethe: Linee fondamentali di una teoria della conoscenza della concezione del mondo di Goethe.
Nel 1888 Steiner fu invitato a lavorare come curatore negli archivi Goethe a Weimar, dove rimase fino al 1896, scrivendo introduzioni e commenti ai quattro volumi di scritti scientifici di Goethe e pubblicando, nel 1897, un secondo libro sulla filosofia di Goethe: La concezione del mondo di Goethe.
Nel 1899, la vita di Steiner cominciò a cambiare, come racconta nella sua autobiografia, proprio grazie alla pubblicazione sulla rivista Magazin dell’articolo “La Rivelazione Segreta di Goethe” che trattava della natura esoterica di una favola di Goethe, Il Serpente verde e La Splendida Ninfea. Grazie a questo articolo Steiner fu invitato a parlare a un convegno di teosofi e per la prima volta parlò in pubblico della sua percezione spirituale.
Nelle immagini fiabesche di questo racconto si presentò
davanti allo sguardo spirituale di Goethe l’evoluzione dell’anima
dalla condizione in cui ancora si sente estranea al soprasensibile,
fino al grado di coscienza in cui la vita vissuta nel mondo
sensibile si compenetra del mondo spirituale soprasensibile, in
modo che i due diventano uno solo.
(Steiner, La Rivelazione Segreta di Goethe)
Proviamo, allora, a disegnare per tratti i contorni del paradigma di Goethe. Goethe, nella sua concezione del mondo, oltre ad avere come punto di riferimento Spinoza, negli studi sulla Natura, fu fortemente influenzato dagli scambi che ebbe con il teologo Herder che sosteneva:
L’essere umano riunisce in sé tutti i principi formativi che gli altri organismi (cosiddetti “organismi inferiori”) hanno sviluppato unilateralmente; la Natura condensa in un solo essere quanto ha sparso in molte classi e ordini. Tutto questo comporta che ogni parte degli “organismi inferiori”, ad esempio degli animali, deve rinvenirsi nell’uomo, pur ridotta o come residuo ancestrale. La Natura non può avere lacune nella formazione coerente di un tipo.
Goethe dà un contributo scientifico importante a questo approccio scoprendo l’osso intermascellare anche nell’uomo, dà una soluzione (nel 1784, contemporaneamente a un medico francese, Vicq d’Azir) a un problema che si trascina dai tempi di Aristotele, poi ripreso da Galeno (entrambi favorevoli), ma contraddetto per secoli da quanti, come Vesalio, sostenevano che l’uomo era una creatura eccezionale, isolata nella Natura e non l`ultimo grado dell’affermazione del continuo delle forme animali.
La Natura, anche per Goethe, come per gli Scolastici e Linneo, non fa salti, egli applica un approccio morfologico alle scienze naturali. Il tema dell’indagine scientifica diventa: qual è la fonte della vitalità e della capacità di metamorfosi della Natura?
Goethe può essere considerato il precursore del darwinismo, avendo egli concepito l’organico come governato dalle stesse leggi che intervengono nella natura inorganica. Le forme viventi, secondo Goethe, sono il risultato della metamorfosi di un archetipo. Goethe, rispetto a Darwin, non arrivò a formulare il concetto determinante di selezione, sul quale Darwin avrebbe fondato la teoria dell’evoluzione.
Una seconda intuizione è quella che molte ossa del cranio sono vertebre trasformate e, anche in questo caso, per Goethe si tratta della conferma che esiste una legge unitaria con la quale la Natura plasma le forme organiche. (Le osservazioni nacquero dal cranio di un montone trovato sulla spiaggia del Lido di Venezia). Tutto questo porta alla concezione di un tipo animale originario.
Naturalmente questo approccio morfologico, soprattutto grazie al viaggio in Italia, lo porta allo studio delle piante e al loro sviluppo. Goethe giunge alla conclusione che le forme dei vegetali non sono fissate in modo definitivo al modello originale, ma sono dotate di una sorprendente variabilità che consente loro di adattarsi e di trasformarsi. Tutte le parti delle piante non sono che variabili delle foglie, e ciò vale non per una sola specie, ma per tutte le forme del regno vegetale, sino a riconoscere in quelle modificazioni un unico tipo primitivo. Così come era stato per gli animali.
Insomma i processi della Natura hanno un unico comune denominatore e un’unica legge, un unico principio guida. Per la vita vegetale questo corrisponde a un modello, a una specie ideale, ai caratteri di una pianta originaria, forma essenziale di tutte queste manifestazioni. Sul piano dell’osservazione concreta non si può far altro che constatare il concreto realizzarsi della “pianta originaria” nelle piante che si osservano nella natura. (Secondo Goethe questa era rintracciabile tra quelle Mediterranee).
Ogni pianta, quindi, va considerata come un momento della metamorfosi di quella forma essenziale che la Natura, come legge in movimento, impone al vivente, e che non può essere irrigidita nella schematizzazione dei generi e delle specie.
Il viaggio in Italia porta Goethe a studiare i fenomeni cromatici. Il nostro paese per lui era la sintesi di natura e arte, passato e presente, spiritualità e sensualità. Oltre alla purezza dei cieli e alle tinte del paesaggio è decisiva la visita alla Cappella Sistina.
Il quesito di base è: che cosa sono i colori? Goethe risponde interrogando gli amici pittori, conducendo esperimenti di laboratorio e producendo una “teoria dei colori” alla quale dà più importanza che a tutte le sue opere letterarie.
Il punto di partenza è che la percezione sensoriale pura e semplice non è in grado di cogliere la ricchezza e la complessità della Natura. La centralità del soggetto percipiente, dichiarata da Goethe, rimanda al tempo stesso a questioni epistemologiche e etiche. Il colore, inteso come atmosfera ed esperienza corporea, ma anche nel suo spetto sensibile e morale, ci introduce a una visione antropologica dell’esperienza e dell’esistenza.
La teoria dei colori, nonostante l’orgoglio di Goethe, lasciò i contemporanei indifferenti; questo ferì particolarmente l’autore, che avrebbe voluto un confronto, ma ciò non accadde perché il suo lavoro apparteneva a un paradigma “altro”, ovvero non rientrava nel sistema newtoniano. Si trattava di un nuovo paradigma. Ecco cosa scrive Martin Bansfeld al riguardo:
Secondo Goethe i colori non sono parti, ma azioni e passioni della luce. Weizsacker ritiene che questa affermazione sia in piena consonanza con la fisica quantistica. Il rapporto tra parte e intero nella fisica quantistica si potrebbe proprio esprimere sostenendo che le parti isolabili sono sempre azioni e passioni dell’intero. Insieme con l’atomismo classico si deve buttare a mare anche il modello classico di causalità: nella fisica quantistica, sul singolo oggetto, sono possibili soltanto previsioni probabilistiche. Goethe rimproverò a Newton di non aver voluto riconoscere la luce nella sua purezza; all’opposto si rimproverò a Goethe di non aver compreso il significato del principio di causalità per il pensiero naturalistico. Nel frattempo, grazie alla fisica dei quanti, sembra essere divenuto plausibile il concetto goethiano della luce e venuta meno l’assolutezza del modello di causalità: eccoci di nuovo pronti per la concezione scientifica di Goethe.
Bansfeld, Il colore è la natura conforme al senso dell’occhio
E noi aggiungiamo: siamo quindi pronti per le teorie steineriane. Un altro paradigma si affaccia all’orizzonte. Ma tutto questo non è solo interessante per le sue conclusioni. La teoria dei colori, che tanto inorgogliva Goethe, contiene una questione di fondo che va al di là del problema della luce; o, meglio, giocando con uno slittamento semantico, il saggio tratta anche della luce in senso metaforico, come conoscenza, e si inserisce con forza nel dibattito fondamentale tra oggettività e soggettività del conoscere. E’ questo il vero oggetto di scontro con Newton.
Naturalmente ciò viene da Kant e racconta perfettamente il passaggio dalla cultura illuministica a quella romantica. Soggettività della scienza non vuol dire che ognuno ha la propria scienza, ma che l’uomo è incluso e integrato nella ricerca, ne è responsabile, lega il progresso della scienza all’etica.
Steiner afferma che le opere di Goethe avevano creato in lui la convinzione profonda che al lavoro di Galilei sulla materia inorganica corrispondesse quello di Goethe, con riferimento al mondo organico. Con la sua teoria della metamorfosi aveva pensato i processi organici della natura in termini spirituali. Il metodo scientifico di Goethe si nutre delle controversie della scienza, che insegnano l’arte di non fermarsi a conoscenze troppo sicure; le opposte polarità producono il movimento della ricerca che, altrimenti si interromperebbe. E al centro di questo flusso c’è sempre l’uomo con la sua etica.
Ritornando alla domanda iniziale: qual è il paradigma di Goethe?, si può provare a sintetizzare così, con le sue stesse parole:
Se, con felice equilibrio di energia e abilità, ci riuscirà di radere al suolo quella Bastiglia (il riferimento è alle teorie di Newton, ma vale per tutte le teorie legate alla matematizzazione delle scienze naturali) e guadagnare uno spazio libero, rimarrà lontana da noi l’intenzione di ingombrarlo subito, costruendo un nuovo edificio. Di esso (spazio libero), piuttosto, intendiamo servirci allo scopo di offrire una bella successione di molteplici forme.
Goethe, La teoria dei colori
Per Goethe la conoscenza, in tutti gli ambiti, si dà all’interno del rapporto tra soggettività e oggettività e la loro reciproca e radicale compromissione. La scienza deve divenire al tempo stesso mistica e metodica, deve vivere della tensione dei due poli dell’unità vivente: le regole e l’intuizione.
Ma la conoscenza non esiste se non c’è un essere vivente che oltre a percepire, senta quello che va oltre sé stesso e quello che gli sta intorno. Accanto alla vis centrifuga del continuo mutare delle forme esistenti, esiste un contrappeso: l’istinto di specificazione, la tenace capacità di persistere di ciò che, nel divenire, è divenuto realtà. Potremmo dire l’impronta originaria, il segno primo del mutamento.
Ora, per questioni di tempo e di spazio a disposizione, sono costretto a chiudere e, con un doppio salto mortale, riannodo uno dei fili sottesi a questa riflessione: il problema dei disciplinari.
Quello che ho provato a ripercorrere e che, genericamente, ho chiamato il paradigma di Goethe, da cui discende l’origine della biodinamica, può spiegare, almeno in parte, perché è così difficile fissare in un disciplinare il metodo della biodinamica.
Ma, forse, dovremmo provare a immaginare un nuovo modo di scrivere un disciplinare, magari pensandolo come un testo vivo, in movimento, che si arricchisce quotidianamente delle pratiche, oltre che delle speculazioni teoriche. Per concludere, un’ultima massima di Goethe:
Il che ci porta a collocare la ricerca e la condivisione dei risultati, tenendo conto di una considerazione finale: una concezione solo meccanicistica della conoscenza e della vita produce inevitabilmente una separazione tra etica e ricerca scientifico-tecnologica, rischiando, come si vede nella nostra quotidianità, che il progresso sia perfettamente funzionale all’economia.
Un’economia che, nel nuovo millennio, con la globalizzazione, la digitalizzazione e la virtualizzazione delle ricchezze ha spezzato il legame che l’economia aveva sempre avuto con la produzione di beni in rapporto alla vita degli esseri umani e al loro benessere. Il mondo oggi è dominato da un’economia finanziaria che ha perso di vista l’uomo come soggetto e culmine della metamorfosi delle forme. La tendenza è che la finanza, con i suoi meccanismi oggettivi (contano solo i numeri, le statistiche), sia riuscita definitivamente a separare le vite reali dalle loro rappresentazioni astratte.

Bibliografia

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